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Attore e Pubblico
L’attore è collegato al pubblico; o meglio, l’attore, per esistere, ha bisogno della presenza di un pubblico. In virtù dell’azione eseguita, chi recita “si aspetta” che il pubblico reagisca in un modo determinato. L’attore impiega tutta la sua forza artistica ed umana, per ottenere questo risultato. Se il pubblico non reagisce, come è fortemente auspicato, l’attore, artisticamente e psicologicamente, soccombe e “muore”, o meglio “svanisce” dalla scena. D’altra parte, il pubblico, proprio perché ha scelto di venire a teatro, è decisamente predisposto a reagire come desidera chi recita. Il pubblico teatrale, fin dall’attesa al botteghino e dall’ingresso in sala, è partecipe di una cerimonia rituale che lo porta, progressivamente, a raggiungere una forte relazione emozionale con gli attori. E’ un pubblico che “vuole” collegarsi mentalmente con chi recita; vuole essere affascinato.
Nella storia della psicologia, col concetto di “campo psichico” di Kurt Lewin (1936) e soprattutto con la nozione di “identificazione proiettiva” di Melaine Klein (1946), è presente la possibilità di una “pressione psichica” esercitata da un soggetto sull’altro. L’identificazione proiettiva, comunque la si voglia considerare, corrisponde, in senso generale, alla forma di comunicazione che si realizza nella situazione teatrale. La cellula elementare della teatralità va, inevitabilmente, individuata nel rapporto psichico tra attore e spettatore.
Parallelamente, i tanti aspetti che costituiscono, comunemente, il teatro istituzionale – la distanza scenica, gli spazi impenetrabili e celati al pubblico e così via – sono tutti riconducibili al gioco dell’attore e del suo corpo, sotto lo sguardo dello spettatore. Le suddivisioni e i riempimenti degli spazi concreti del teatro istituzionale possono essere, in questa prospettiva, materializzazioni, estensioni e amplificazioni degli spazi psicologici della relazione dell’attore con il suo pubblico. L’apparato teatrale permette di conferire una unità a questo insieme molteplice, funzionando da schermo, sfondo di proiezione e cornice di contenimento.
In questa relazione di identificazione proiettiva, compito dell’attore è “imporre” il personaggio, con le sue emozioni, alla mente del pubblico. Egli, utilizzando la sua arte ed il suo carisma, esercita una “pressione” emotiva sugli spettatori e si attende che il pubblico reagisca nel modo desiderato. Il pubblico teatrale, come si è accennato, possiede la caratteristica di essere disponibile all’incantamento ed alla relazione con il personaggio proposto, o meglio imposto dall’attore. Ciò compensa, anche se il contesto è diverso, la limitata prossimità della persona dell’attore con il singolo spettatore. In questo ambito vale il supporto della forza mentale dello spettatore che “desidera”, proprio perché è venuto a teatro, credere all’attore.
In effetti, come si è accennato, l’attore “ha bisogno” che il pubblico reagisca come egli vuole. L’alternativa è il fallimento della performance e la sua simbolica “morte” come attore. Si tratta, in questo caso, di una “morte” inutile e ignobile, lontana dal “sacrificio mistico” cui l’attore, fortemente, aspira quando, sul palcoscenico, si offre per accogliere e realizzare i desideri inconsci del pubblico. Egli è, in quest’ultima circostanza, vincitore e vittima, eroe e capro espiatorio delle forze profonde che dilagano nella sala e legano la sua persona che agisce, al pubblico che, intensamente, desidera. Poiché incarna i desideri profondi, anche quelli impensabili, l’attore è inseguito dalla colpa e, ad essa, consapevolmente, si sacrifica, sapendo che, per ogni suo gesto agito, come per ogni indicibile affetto, verrà, infine, perdonato.
Quando, al termine di ogni rappresentazione, l’attore viene applaudito, egli sa che questo simbolico perdono è stato ottenuto; ma, ancor più, egli è stato accettato e benvoluto e sono, contemporaneamente, stati accettati i contenuti, sia consentiti sia proibiti, che egli ha proposto e imposto. Perché tutto ciò accada, la “unione mistica” tra attore e pubblico, ovvero quella relazione che è stata, psicoanaliticamente, definita col termine di identificazione proiettiva, deve realizzarsi adeguatamente e fortemente.
Va, anche, osservato che proprio gli elementi che più soddisfano quelle che possiamo chiamare le nostre tendenze proibite, o sottoposte a forte difesa soggettiva, sono nel teatro, come del resto nel cinema, i motivi fondamentali dell’interesse dello spettatore. Fattori che non possiamo o non vogliamo soddisfare nella vita reale, ma a cui non riusciamo a rinunciare completamente. In sostanza il teatro, entro certi limiti, consente di appagare, in forma innocua, quegli impulsi che la coscienza considera proibiti.