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BRAVEHEART (Pubblicato su “Eidos” 45/2020)
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Come i poemi di Omero sulla guerra di Troia e il ritorno a casa di Ulisse, anche il racconto di questo ribelle dal cuore impavido è pura epica; un mito laico che, attorno al fatto storico, costruisce l’epopea narrativa capace di evocare l’immortalità della leggenda. Ovviamente, la leggenda non è Storia e richiede un tipo di rievocazione che non impiega la ricerca delle fonti, ma vuole l’esaltazione e l’ardore tesi a creare una icona e non la vita vera di un personaggio. Al cinema, inteso come spettacolo, non interessa l’attendibilità storica, ma il modo in cui la storia viene raccontata. Ebbe a dire John Huston: “Non ho certezza reale che i fatti accaduti siano come li ho raccontati, ma li ho raccontati come sarebbero dovuti accadere”.
Gibson realizza un kolossal dal grande costo, coerente con l’Hollywood aurea ed enfatica, proponendo l’elegia del superuomo e il culto della vendetta, in nome della libertà. È un racconto di tre ore, dal grande respiro, che affianca una personale interpretazione dello spirito della mitologia celtica a momenti anche superficiali, come i dettagli dell’infanzia di William Wallace, l’eroe protagonista. Nonostante una certa prolissità e retorica, la ricerca filologica, l’iconografia e la seduzione dello scontro fisico di massa hanno reso l’opera di Gibson un grande successo commerciale e un immediato classico popolare. Il film fu premiato, l’anno dopo, con ben cinque Oscar: film, regia, fotografia, montaggio del suono e trucco. Come effetto collaterale di questo appeal planetario che vide Gibson, suo malgrado, paladino anti-inglese, lo scaltro Roland Emmerich lo volle come eroe del proprio fiammeggiante Il Patriota (2000). In quest’ultima storia tutte le consuetudini psicologiche e narrative di Braveheart furono riprese indistintamente, solo trasponendole in un continente diverso e alla distanza storica di quattro secoli e mezzo. Più modesta la distanza cinematografica, di soli cinque anni, per non lasciar troppo raffreddare un filone che si era scoperto aureo. Eppure, nella sua prolissità, grondante sangue ed enfasi militarsca, Gibson realizza scene di guerra e coreografie di combattimento ravvicinato di straordinaria spettacolarità. La battaglia tra Davide, gli Scozzesi minori di numero e Golia, la potente Inghilterra, che resta incerta fino al colpo di scena finale, viene raccontata con esuberante abbondanza di uomini, mezzi, armi e cavalli.
Mel Gibson utilizza tutte le tecniche possibili per spettacolarizzare l’azione. Vi sono rallentamenti nelle inquadrature o improvvisi scatti, ottenuti modificando la velocità dei fotogrammi per secondo. Inoltre, forte impiego dell’altalena emozionale, dove momenti romantici s’incrociano con episodi di violenza pura. Il film è stato girato fra l’Irlanda e la Scozia; vi sono quindi paesaggi nebbiosi e piovosi e stupende inquadrature notturne che contrastano con gli scontri corpo a corpo e le scene brutali.
Braveheart ha il suo punto di forza nella rappresentazione delle due battaglie più importanti: quella di Stirling Bridge (1297) e quella di Falkirk (1298). Soprattutto per la prima, i mezzi dispiegati sono stati imponenti; sei settimane di riprese, nove cineprese utilizzate, tremila comparse, duecento cavalli, più quelli meccanici. La chiave di lettura è quella lineare e un pò limitata della apologia biografica ed eroica. Nonostante ciò, Braveheart evoca immediatamente altre pietre miliari del genere; dai vecchi ma intramontabili Spartacus (Stanley Kubrick, 1957) e Ben Hur (William Wyler, 1959) sino al più attuale e fantastorico Il gladiatore (Ridley Scott, 2000).
Il lavoro del montatore Steven Rosenblum è stato esemplare e preso a modello per i futuri combattimenti cinematografici, tra eserciti. Vi è una rapida successione di immagini, che alterna primi piani, campi lunghi, campi medi e, in alcuni momenti, la steadycam dà la sensazione di trovarsi proprio al centro della battaglia. L’accelerazione, nella parte finale, sembra citare il combattimento di Shrewsbury nel Falstaff (1965) di Orson Welles. Il montaggio sonoro, fatto di stridore di spade e lame che penetrano nella carne, sibili di frecce e nitriti di cavalli, produce un forte effetto realistico, dal grande impatto emotivo.