![](https://www.albertoangelini.it/wp-content/uploads/2015/01/77607_ppl.jpg)
Cinema scienza e fantascienza – 2009
Eidos cinema e psyche, 16
di Alberto Angelini
La fantascienza è la mitologia contemporanea; è ciò che meglio si presta per indagare gli archetipi della contemporaneità. Ombre, proiezioni e fantasie che trovano le loro incarnazioni negli alieni, nei robot, nelle saghe spaziali e nelle altre espressioni del genere.
D’altro canto, se si esclude il genere documentaristico, al cinema anche la scienza tende a diventare fantastica e ad avvicinarsi alla fantascienza. Basti pensare a quei film dedicati a plausibili situazioni, come il rischio epidemico in Virus letale (1995), dove la scienza diviene uno strumento prometeico di riscatto, contro la sciagura incombente. Tuttavia, in senso strettamente psicologico, c’è una differenza tra fantastico e fantascientifico. Il cinema fantastico chiede una rinuncia alle nostre, più o meno realistiche, convinzioni scientifiche, poiché tratta di cose che non esistono e non possono esistere; quindi non richiedono alcuna spiegazione. Invece, il cinema di fantascienza si proietta psicologicamente nell’universo, così come riteniamo di poterlo conoscere.
La fantascienza vorrebbe spiegare, anche se in modo solo formalmente scientifico, ciò che propone. In senso estremamente astratto, si è indotti a credere che la vicenda filmica fantascientifica potrebbe o potrà accadere; che nulla idealmente si oppone, alla luce delle conoscenze contemporanee, rispetto alla possibile realizzazione di ciò che accade sullo schermo. A ben analizzare, è solo una convinzione psicologica, non basata su fatti scientificamente concreti ma, cinematograficamente, è sufficiente per distinguere il genere fantascientifico dal fantastico, dall’horror e da tutto il resto. Una ennesima prova dell’immenso potere delle emozioni, nei confronti della realtà.
Nell’esperienza della fantascienza, come in ogni situazione filmica, si esprimono potentemente i meccanismi dell’identificazione e della proiezione. Ciò avviene particolarmente nella tematica dell’alieno che, sia come singolo individuo, sia come comunità organizzata, viene rappresentato, tranne rarissime eccezioni, come una minaccia perniciosa per l’umanità. A partire da storici film, come La guerra dei mondi (1953), o la serie di Alien, degli anni settanta e ottanta, fino alle pellicole contemporanee, assistiamo prevalentemente a fenomeni proiettivi, ovvero ad aggressioni portate da esseri somiglianti a rettili, insetti e via dicendo.
Sul piano psicoanalitico, è ipotizzabile che queste intenzioni violente e aggressive trovino origine nella sfera dell’inconscio. Questo tipo di proiezione si sviluppa in due fasi. In un primo momento, presentando gli alieni come entità assolutamente diverse dagli esseri umani, biologicamente e nella forma, si attua una totale estraneazione dai medesimi, ovvero dagli oggetti della proiezione. Per ottenere questa estraneazione si accentuano quegli aspetti non umani che sottolineano la estraneità biologica; da cui l’abbondare delle citate forme di insetti e rettili che sottolineano la non appartenenza alla specie umana. Ciò fatto, quando lo spettatore è convinto che non ha nulla in comune con loro, si possono attribuire agli alieni tutte le caratteristiche violente che si vuole. E’ il secondo momento del processo proiettivo, in cui viene lanciata sugli extraterrestri l’aggressività emergente dalla sfera inconscia.
Rarissimamente, l’alieno può essere descritto positivamente, come accade nello storico Ultimatum alla terra (1951); dove, non a caso, è fisicamente identico a noi e propone mete elevate, come la fine della corsa agli armamenti, ammonendo paternamente e anche minacciando chi non si vorrà adeguare. Sempre in casi molto rari, come ne L’uomo che cadde sulla Terra (1975) e nel recente District 9 (2009), l’alieno è presentato come una figura problematica, che riflette i conflitti e le ambivalenze che ci appartengono. In questi ultimi casi, la tematica dell’alieno è usata, artisticamente, per riflettere su problemi squisitamente umani.
Ricordiamo che i meccanismi psicodinamici dell’identificazione e della proiezione operano contemporaneamente. Esiste una dialettica psichica per cui, se da una parte, per effetto
dell’identificazione, l’individuo diviene il personaggio del film, dall’altra, a causa della proiezione, il personaggio è lo stesso individuo.
Un altro classico filone della fantascienza è costituito dal tema dei robot e delle macchine pensanti. Che siano o no dotate di forme antropomorfe, esse psicologicamente rappresentano quel caratteristico timore che prende profondamente tutti gli esseri umani, quando hanno paura di perdere il controllo sui propri istinti e sulle proprie forze interne. Il robot è un essere dotato di enorme forza e intelligenza; ma proprio per questo deve obbedire. Cosa accadrebbe, se queste energie si manifestassero in forma incontrollata, senza alcun codice, senza rispettare le Tre Leggi della robotica*, ideate dal grande scrittore Isaac Asimov, a immaginaria salvaguardia del genere umano? E’ ciò che accade in 2001: Odissea nello spazio (1968), quando il calcolatore che guida una nave spaziale verso Giove, viene disinnescato, avendo deliberatamente attentato alla vita dell’equipaggio e muore recitando una filastrocca infantile. Anche in Io Robot (2004) ci troviamo di fronte ad un robot deviante dalle tre leggi e mortalmente pericoloso per gli esseri umani; un pericolo che cesserà solo con la restaurazione delle leggi della robotica, a protezione dell’umanità.
Sono vicende che riecheggiano il timore che noi stessi abbiamo per le energie presenti nell’inconscio: immense e senza regole. E’ la socializzazione individuale che ci impone l’acquisizione e l’accettazione di precise norme. L’equivalente delle leggi della robotica per i robot. L’alternativa fra obbedienza e timore della distruzione è presente anche nello sviluppo individuale umano; ma ogni volta che l’individuo si sottomette alle regole rinuncia, in parte, a soddisfare il nucleo istintuale. Il robot simbolizza un conflitto antico quanto la civiltà e rappresenta le estreme conseguenze del possibile predominio di una delle due forze sull’altra. In esso si tende ad un estremo dove, mitologicamente, la misura e la freddezza apollinea si devono imporre completamente all’io dionisiaco.
Poiché la fantascienza può essere usata come un ambiente in cui collocare una commedia o un dramma, i generi fantascientifici sono tanti quanti possono essere gli spunti narrativi. Viaggi nel tempo, mondi paralleli, guerre spaziali, imprevedibili evoluzioni biologiche e via dicendo. Tuttavia, generalizzando, si deve constatare una buona frequenza nella comparsa di film catastrofici; anche se le catastrofi hanno origini disparate.
In senso psicoanalitico, le ipotesi negative abbondano perché le idee di sofferenza e di catastrofe appartengono al concetto stesso di progresso civile. Come se la civiltà e la conoscenza non possano separarsi dalla dolorosa idea inconscia di restaurare un benessere scomparso con la perdita del primitivo oggetto d’amore.
Visitando la mitologia contemporanea, troviamo sempre Prometeo. Egli è l’eroe archetipo del principio di prestazione, che è la forma storica del principio di realtà; ma questo eroe civilizzatore, ribelle contro gli dei, simbolo del progresso e dello sforzo incessante di dominare la vita, paga con pene eterne la sua iniziativa. Egli rappresenta la metafora di quel peccato originale dell’intera umanità che si concretizza nella curiosità scientifica. In lui la maledizione e la benedizione, il progresso e la sofferenza vivono e restano inestricabilmente legati.
*Tre Leggi della robotica
Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.
(Manuale di Robotica, 56a Edizione – 2058 d.C.)