Inconscio e teorie psicoanalitiche nella Russia Contemporanea – 2002
Rivista di Psicoanalisi, 1
Dagli esordi alla caduta dell’Unione Sovietica
di Alberto Angelini
Nella traslitterazione dal russo, si è seguito un criterio libero, di tipo fonetico. Si è inoltre teso a rispettare le traslitterazioni tradizionali.
Nascita e repressione
La Russia fu uno dei primi paesi che accolsero le idee psicoanalitiche, ancor prima che la psicoanalisi venisse accettata, o semplicemente conosciuta in molte nazioni occidentali. Non solo, la nozione di inconscio era già presente nella tradizione dei filosofi russi ottocenteschi e nella scuola di “psicologia oggettiva”, il cui più noto esponente fu Ivan P. Pavlov. Quest’ultimo, certamente lontano dalla psicoanalisi, ebbe comunque la ventura di essere citato da Freud (1905), a proposito dell’anticipazione psichica in atto; mentre un altro esponente della psicologia oggettiva, Vladimir M. Bechterev, con una interpretazione riflessologica delle perversioni e delle inversioni, attirò l’attenzione di Otto Fenichel (1924).
A sua volta, il fondatore dell’indirizzo oggettivo in psicologia, Ivan M. Secenov, scienziato ottocentesco, aveva espresso, in diverse occasioni, considerazioni significative riguardo al tema dell’inconscio.
Le idee psicoanalitiche iniziarono a diffondersi in Russia, fin dai primi anni del novecento.
Solo in tempi relativamente recenti si sono realizzate approfondite indagini storiche sull’argomento (cfr. Angelini, 1988, 2002; Etkind, 1993; Miller, 1998). L’anno cruciale è il 1908. Accaddero allora tre fatti rilevanti. In primo luogo uscì a Mosca una importante rivista psichiatrica: Psychotherapia; ne era direttore N.A.Vyrubov, uno psichiatra che si era interessato, nella sua attività, sia del metodo suggestivo-persuasivo utilizzato a Berna da Paul Dubois (1904) sia delle teorie freudiane che andavano profilandosi all’orizzonte del panorama scientifico. Psychotherapia, negli anni seguenti, pubblicò regolarmente informazioni sui progressi del movimento psicoanalitico, assieme a veri e propri articoli di argomento analitico, fra cui diverse traduzioni degli scritti di Freud.
Sempre nel 1908, il 13 marzo, un medico militare, il dott. Pevnitsky di Odessa tenne a Pietroburgo la prima conferenza di argomento psicoanalitico. Infine, nello stesso anno apparvero sul Korsakoff’s Journal for Neuropathology and Psychology due articoli di Nicolaj J. Osipov (1887-1934), passato alla storia della psichiatria ufficiale sovietica come uno dei più importanti allievi di Bechterev. Tali articoli avevano per argomento gli studi junghiani riguardanti la psicologia dei complessi, gli esperimenti associativi e “gli ultimi lavori della scuola freudiana”.
Osipov aveva studiato in Svizzera ed era stato per qualche tempo al Burgholzli di Zurigo, l’ospedale cantonale in cui lavorava Jung. In occidente aveva conosciuto Freud, mentre in Russia era stato allievo di Bechterev ed era entrato, come assistente, nella clinica universitaria di Mosca, nel periodo in cui era primario il professor Vladimir P. Serbsky, uno psichiatra di vedute ampie che non aveva ostacolato i suoi interessi psicoanalitici. Ben presto attorno ad Osipov si raccolsero alcuni giovani colleghi interessati alle applicazioni terapeutiche del pensiero freudiano.
Nello stesso periodo con l’appoggio del professor Serbsky, Osipov organizzò delle riunioni bisettimanali, i “Piccoli Venerdì” in cui si trattavano argomenti analitici, che vedevano sia la presenza di medici, sia di specialisti appartenenti a discipline vicine alla psichiatria, come la sociologia, la psicologia, eccetera. Sempre Osipov, un vero e proprio pioniere del movimento psicoanalitico in Russia, assieme al medico O.B.Feltsmann, che si interessò della teoria freudiana solo per qualche tempo, fondarono in quel periodo una “Biblioteca Psicoterapeutica”, cioè una iniziativa editoriale che permise diverse edizioni russe delle opere di Freud e Jung, a partire dal 1909. Nonostante l’entusiasmo, nessuno di loro aveva ricevuto un addestramento personale.
Lo stesso Freud, nel suo Per la storia del movimento psicoanalitico (1914; tr.it.1975,pag. 406) cita il russo M. Wulff scrivendo:<<Soltanto la città di Odessa, nella persona di M. Wulff, possiede uno psicoanalista istruito>>.
Effettivamente Wulff fu il primo psicoanalista russo a ricevere un addestramento completo, avendo effettuato una analisi personale con Karl Abraham a Berlino. Tornato nella sua città nativa, Odessa, vi svolse per diversi anni, a partire dal 1909, una intensa attività analitica.
Il 2 maggio 1911, Freud informò Ferenczi di aver ricevuto, quello stesso giorno, il dottor Leonid Drosnés, il quale gli aveva comunicato che in Russia si era costituita una Società Psicoanalitica con sede a Mosca, fondata da Osipov, Vyrubov e da lui medesimo (E.Jones, 1953).
Al dottor Drosnés, nella città di Odessa, si era rivolto, nel 1909, un giovane le cui vicissitudini nevrotiche sarebbero state rese note da Freud nel Caso clinico dell’uomo dei lupi (1914). Nel lungo viaggio da Odessa a Vienna, il giovane era stato accompagnato da Drosnés.
Partecipava tra gli altri, alla nascente Società Psicoanalitica Moscovita, P.A. Ermakov, nuovo direttore della clinica universitaria moscovita, al posto di Serbsky che si era dimesso, assieme a Osipov, dall’istituzione per tensioni politiche. Tra il 1912 e il 1915, Wulff, Ermakov e Osipov tradussero in russo quasi tutti gli scritti di Freud. Inoltre i periodici tedeschi Zentralblatt, Internationale Zeitschrift fur Psychoanalyse e Imago pubblicarono circa una dozzina di contributi di autori russi.
In quegli stessi anni, altri giovani studenti russi erano venuti a conoscenza delle idee psicoanalitiche nel corso delle vicissitudini geografiche legate alla loro formazione intellettuale e politica. Tra costoro Tatiana Rosenthal che era emigrata giovanissima a Zurigo e faceva parte del movimento bolscevico. Laureatasi in medicina nel 1911, aveva frequentato, a Vienna, la Società Psicoanalitica, per poi tornare in Russia, dopo la rivoluzione.
Un’altra donna che ebbe una parte significativa nella storia della psicoanalisi russa fu Sabina Spielrein. Nata nel 1885 a Rostov sul Don, la Spielrein fu ricoverata al Bugholzli di Zurigo, dove lavorava Jung, tra il 1904 e il 1905, poiché affetta da “isteria”. In seguito studiò medicina nell’Università di Zurigo, dove si laureò nel 1911, dedicandosi poi alla psicoanalisi.
Fu proprio la Spielrein che, nella riunione della Società Psicoanalitica di Vienna del 26 novembre 1911, presentò una relazione in cui era proposto il concetto di pulsione di morte.
In quella occasione Freud rifiutò l’idea, perché considerava fuorviante giustificare tale concetto con motivi biologici, piuttosto che psicologici. Prescindendo da alcune visite, limitate nel tempo, alla sua patria d’origine, il definitivo rientro in Russia della Spielrein avvenne dopo il 1923.
Per molti anni, le violenze della guerra, prima, e della rivoluzione poi interruppero i legami intellettuali e scientifici tra l’Europa e la nazione russa. Dopo un periodo di confusione e isolamento, nel 1921, si ricostituì, a Mosca, una Società Psicoanalitica che contava, inizialmente, otto membri e che svolgeva, programmaticamente, la sua attività secondo tre indirizzi: artistico-psicologico, medico e pedagogico. Qui ritroviamo i nomi di Wulff ed Ermakov che assieme ad A. Bernstein, psichiatra, costituivano i primi elementi di formazione medica. Già nel 1922 si erano raggiunte le quindici unità, con dei soci di provenienza filosofica ed altri di varia estrazione.
In ambito pedagogico, la massima espressione del movimento psicoanalitico russo fu merito di Vera Schmidt che, nel 1921, diede vita al leggendario esperimento dell’Asilo psicoanalitico di Mosca.
Per un certo tempo partecipò a questa impresa anche la Spielrein. Tra i bambini dell’asilo vi era lo stesso figlio della Schmidt e, secondo alcune testimonianze (Faenza, 2003), il figlio di Stalin. Inizialmente, questo tentativo era coerente con l’atmosfera post-rivoluzionaria e con l’aspirazione a creare un uomo nuovo in una società nuova. Nel concreto, si auspicava che gli educatori coinvolti nell’impresa cercassero di comprendere e interpretare i derivati dell’inconscio infantile, separandoli dalle manifestazioni coscienti.
Nei rapporti tra bambini ed educatori si teneva conto dei fenomeni transferali e si tentava di instaurare dei rapporti basati sull’affettività e sulla fiducia, piuttosto che sull’autorità. Inoltre si richiedeva agli educatori un atteggiamento analitico anche verso se stessi.
Nella pratica, si evitavano le punizioni, ma anche le eccessive manifestazioni di amore. Ci si sforzava, complessivamente, di adattare l’ambiente fisico ai bisogni e all’età dei piccoli ospiti. I bambini godevano della massima libertà di movimento e i loro processi di evacuazione non venivano costretti ad un controllo rigido e artificioso. Altrettanta disponibilità veniva mostrata nei confronti delle loro manifestazioni e curiosità sessuali (Schmidt, 1924).
Probabilmente proprio quest’ultimo aspetto della proposta pedagogica di Vera Schmidt scatenò le reazioni delle autorità. E’ noto, infatti, che furono delle calunniose accuse di pornografia e abusi sessuali a determinare, nel 1924, dopo alterne vicende la chiusura della “Casa Bianca” dei bambini: l’Asilo psicoanalitico di Mosca.
Per ben due volte, nel novembre 1923 e nel febbraio 1924, la Società Moscovita si era riunita per discutere i problemi della Casa, mentre la stessa Schmidt aveva intrapreso, nel 1923, un viaggio a Berlino e Vienna per informare il movimento psicoanalitico dell’iniziativa intrapresa. La sua coraggiosa impresa aveva potuto nascere e sopravvivere forse più dell’immaginabile, anche perché ella godeva di una posizione solida, nel mondo sovietico. Il marito, Otto Schmidt, matematico, faceva parte del soviet di Mosca e del soviet di stato degli scienziati. Era anch’egli membro della Società Psicoanalitica Moscovita e, come direttore delle Edizioni di Stato aveva materialmente reso possibile la stampa e la diffusione di molti scritti psicoanalitici.
In quegli anni, tra le maggiori personalità della Società Psicoanalitica Moscovita spicca Ermakov, impegnato particolarmente nell’indirizzo artistico-psicologico e autore di diversi lavori sul tema, che avrebbero evocato, qualche anno dopo, le reazioni di Lev Vygotsky (1925) e Valentin Volosinov (1927); firma che, da più parti, viene considerata lo pseudonimo di Michail Bachtin. Entrambi questi studiosi erano- molto interessati alle concezioni psicoanalitiche.
La seconda sezione, ad indirizzo clinico, era diretta dal professor Wulff, segretario della Società ed analista didatta, affiancato, per qualche tempo, in questo incarico, nel 1923, dalla Spielrein. Quest’ultima, che dopo un primo temporaneo rientro in patria, era definitivamente tornata dalla Svizzera, dove aveva fondato nel 1919, a Losanna, un gruppo di studio psicoanalitico denominato “Circle Interne”, per più di un anno e mezzo visse nella Casa dello Studente, al centro di Mosca, assieme al marito, il medico Pavel Scheftel e alla figlia Renata. Nel 1925, dopo aver dato alla luce la seconda figlia Eva, la Spielrein si trasferì nella sua città di origine, Rostov, dove si occupò soprattutto di psicoanalisi infantile. L’ultimo lavoro della Spielrein apparso in occidente fu pubblicato nel 1931 su Imago. In seguito ella avrebbe incontrato una tragica sorte perdendo la vita, assieme alle sue due figlie, durante l’invasione tedesca di Rostov, nel 1941.
Un’altra significativa personalità femminile della psicoanalisi russa, Tatiana Rosenthal aderente al bolscevismo, aveva invece partecipato al movimento rivoluzionario, in patria e, nel 1919, aveva potuto fondare una clinica psicoanalitica nel neonato “Istituto di Ricerche sulla Patologia del Cervello” di Pietroburgo, ex Dipartimento Neurologico dell’Accademia Medica Militare, alla cui direzione si trovava un grande studioso come Vladimir Bechterev.
Nel 1922, Ermakov e Wulff fondarono un Istituto Psicoanalitico Statale che, in primo luogo, incorporò l’asilo psicoanalitico in cui era impegnata, in quel periodo, Vera Schmidt e, in seguito, avviò un ambulatorio psicoanalitico diretto da Wulff. L’Istituto Psicoanalitico Russo era il terzo centro di formazione e di attività psicoanalitica dopo quelli di Berlino e di Vienna. Nel 1924, l’Istituto propose un programma di dieci seminari ed organizzò dei corsi supplementari nell’Università e nella Clinica Psichiatrica. Lo stesso Ermakov iniziò, a Mosca, la pubblicazione di una collana intitolata “Biblioteca di psicologia e psicoanalisi”, che sarebbe proseguita fino al 1929 (Cfr. Vasilyeva, 2000).
Le idee freudiane, oltre al ricco spazio trovato nell’ambito della Società Psicoanalitica Moscovita e delle sue iniziative, suscitarono l’interesse di molti studiosi che, sull’onda del movimento rivoluzionario, consideravano le teorie psicoanalitiche uno strumento innovatore in più discipline, come la sociologia, la giurisprudenza, la criminologia ed altro. Ovviamente, il valore della parola psicoanalisi era, allora, diverso da quello assunto oggi. Si trattava di riflessioni completamente prive di riferimenti alla clinica, di carattere, fondamentalmente filosofico, sebbene in campi differenti. Alcuni di questi studiosi fecero anche parte della Società Moscovita. Comunque, sul piano storico e metodologico, è opportuno riunirli in un gruppo come coloro che tentarono di usare le idee psicoanalitiche per rafforzare la prospettiva filosofica marxista e sovietica all’interno delle relative discipline. Alcuni di loro lavoravano presso l’Istituto Statale di Psicologia Sperimentale di Mosca, altri erano personalità di spicco e storicamente rilevanti nel loro campo. E’ il caso, ad esempio di Pavel P. Blonskij, che compare nell’elenco degli psicoanalisti moscoviti pubblicato nel 1922 sull’Internationale Zeitschrift fur Psychoanalyse. Nel periodo in cui la psicoanalisi attrasse la sua attenzione, Blonskij, bolscevico, era professore nella Seconda Università Statale di Mosca, nell’Accademia Krupskaja per l’educazione comunista e in vari altri Istituti per la formazione pedagogica. Egli fu il fondatore della pedologia, disciplina che paragonava alla pedagogia come, a suo dire, si può paragonare la botanica al giardinaggio. L’intento di Blonskij consisteva nel fondare una diversa pedagogia capace di educare un “uomo nuovo”, consapevole e attivo, forte espressione del nuovo mondo sovietico. La psicoanalisi era concepita come un aiuto per rafforzare la sua teoria dello sviluppo mentale.
Anche Michail A. Rajsner, giurista e professore di diritto, fece parte della Società Psicoanalitica Moscovita. Impegnato nel Commissariato del Popolo alla Giustizia, egli tentò di utilizzare la psicoanalisi per trovare un collegamento tra il comportamento individuale e il comportamento psicologico di massa, precorrendo varie idee poi espresse anche da Otto Fenichel e dalla Scuola di Francoforte (Etkind, 1993; Angelini, 1996).
In un territorio filosoficamente affine operò B. D. Fridman che, per qualche tempo partecipò anche all’attività dell’Asilo psicoanalitico di Mosca. Egli cercò di spiegare i meccanismi di formazione delle ideologie sociali interpretandole, fondamentalmente, con il concetto psicoanalitico della razionalizzazione.
Ancor più filosofico fu l’impegno espresso da Bernard E. Bychovskij, che tentò di collegare la psicoanalisi alla filosofia energetista espressa in quegli anni dal chimico-fisico e filosofo tedesco Wilhelm Ostwald, già vincitore del Nobel per la chimica nel 1909. Storicamente, anche se Freud non espresse mai apertamente una adesione alle concezioni ostwaldiane, sono stati osservati dei collegamenti tra le idee psicoanalitiche e W. Ostwald (Dimitrov, 1971; Angelini, 1985).
Infine Aron B. Zalkind, compreso nell’elenco della Società Moscovita tentò di tradurre complessivamente la psicoanalisi, anche distorcendola molto, nei termini della teoria riflessologica elaborata da Ivan Pavlov.
Nel complesso, la concezione della psicoanalisi proposta da questi studiosi, oltre a essere scollegata dal lavoro clinico, che in quel contesto storico era praticamente impossibile, risultava spesso distorta in senso ideologico. Comunque, le idee psicoanalitiche, con il loro potenziale innovativo si diffondevano e in quegli stessi anni, oltre che nella città di Mosca, si segnalarono individui o ristretti gruppi interessati al pensiero freudiano in diverse altre località. Le informazioni su queste attività periferiche sono più limitate. E’ noto, comunque, che a Kiev oltre a Zalkind, che lì risiedeva, erano presenti Vinogradov, Goldovskij e il direttore della clinica universitaria Hackebusch. A Odessa, due medici, Chaletzky e Kogan svolgevano opera di divulgazione dei concetti psicoanalitici.
A Leningrado purtroppo, ogni attività psicoanalitica si arrestò quando Tatiana Rosenthal, che si era lì trasferita, concluse drammaticamente la sua vita, nel 1921, all’età di trentasei anni, suicidandosi e il suo collega Leonid Drosnès, che aveva anch’egli soggiornato a Leningrado, fece ritorno a Odessa, la sua città di origine.
Tra questi centri di attività esterni a Mosca, il più significativo fu quello di Kazan, nella Repubblica dei Tartari. Esso si costituì in Società Psicoanalitica, nel 1922, su iniziativa di un giovane psicologo, poi conosciuto in occidente come uno dei padri della neuropsicologia contemporanea: Aleksandr Romanovic Luria. Precedentemente lo stesso Luria aveva comunicato il progetto a Freud, che gli aveva risposto iniziando la missiva con un “Sehr geehrter Herr Prasident”. L’attività psicoanalitica di Luria, prima a Kazan, poi nella Società di Mosca, dove si era trasferito nell’autunno del 1923, è testimoniata dai suoi numerosi interventi sull’Internationale Zeitschrift fur Psychoanalyse, tra il 1922 e il 1927. Egli spaziò dai principi generali del pensiero freudiano, alle caratteristiche dell’angoscia, all’analisi di un’opera teatrale ed altro. Storicamente, anche Luria appartiene a quel gruppo di giovani studiosi russi che arrivarono alla psicoanalisi sull’onda del materialismo storico marxista. Ciò emerge soprattutto nel suo saggio del 1925: La psicoanalisi come sistema di psicologia monista. Nonostante questa faticosa e problematica ideologizzazione, egli ebbe il merito di capire e valorizzare la potenza epistemologica della psicoanalisi, sottolineando la sua capacità di elaborare un approccio complessivo alla personalità umana, superando i limiti meccanicisti della psicologia sperimentale ottocentesca, che era oggetto, allora, di un aspro dibattito, anche filosofico.
Nell’elenco degli psicoanalisti della Società Moscovita riportato dallo Internationale Zeitschrift fur Psychoanalyse troviamo anche il nome di una tra le massime personalità della psicologia del novecento: Lev Semenovic Vygotsky, il fondatore della scuola psicologica “Storico-culturale”. Secondo i resoconti della rivista, egli svolse almeno due relazioni nell’ambito delle attività societarie: una dedicata al rapporto tra psicoanalisi e letteratura, l’altra alla psicologia dell’arte nell’opera freudiana (1924; 1927). Inoltre, nel 1925, Vygotsky scrisse, insieme a Luria, una breve introduzione all’edizione russa di Al di là del principio del piacere (1920) di Freud. In questo lavoro, pur esprimendo molteplici critiche, soprattutto verso l’istinto di morte, venivano manifestate opinioni positive riguardo varie idee freudiane.
In verità, sul piano storico, a differenza di molti suoi contemporanei russi, Vygotsky non accettò mai pienamente la psicoanalisi, nemmeno per un breve periodo; tuttavia, seppure limitatamente, si confrontò con essa. Egli manifestò un atteggiamento critico verso il pensiero freudiano anche quando, nel 1930, affrontò direttamente il problema dei fenomeni psichici non presenti alla coscienza, ne Lo psichico, la coscienza e l’inconscio. In questo scritto riconobbe alla psicoanalisi dei meriti metodologici, rispetto al superamento della scissione ottocentesca tra processo psichico e fisico, ma espresse perplessità riguardo al determinismo psichico freudiano, temendo aperture ad inclinazioni biologiste.
In effetti, Vygotsky, il teorico della coscienza come fenomeno storico-culturale, non si occupò sistematicamente dell’inconscio, ma lo accettò come dato di fatto, anche per contrapporsi a chi identificava, riduttivamente, la coscienza con lo psichico. Tuttavia, la vastità scientifica delle concezioni vygotskiane ha prodotto, nella seconda metà del novecento, molti contributi, che hanno interessato anche la teoria psicoanalitica. Senza entrare nello specifico, ricordiamo che esiste un filone di riflessione storiografica, attualmente in via di sviluppo, volto a comprendere le possibili aree di contatto tra pensiero psicoanalitico e teoria storico-culturale. Questa riflessione, recentemente ha iniziato a produrre effetti anche nell’ambito della teoria psicoanalitica.
Un autore attento alla psicoanalisi, come James Wertsch (1985; 1991; 1998), ha sviluppato le concezioni di Vygotsky, approfondendo l’idea di una regolazione del comportamento umano attraverso il linguaggio, i segni ed altri artefatti culturali. Sempre Wertsch (1990) ha tentato, dalla prospettiva psicologica, un cauto accostamento tra Vygotsky e la psicoanalisi, enfatizzando soprattutto l’interazione e lo scambio di significati tra il bambino e l’adulto. Ciò avvenne nell’ambito di un numero della rivista Contemporary Psychoanalysis interamente ed eccezionalmente dedicato al rapporto tra il grande studioso russo e il pensiero psicoanalitico. In quella occasione, altri autori, più vicini alla psicoanalisi, offrirono diverse opportunità di riflessione su tale rapporto, giungendo addirittura, come nel caso di Tanzer (1990), a proporre una analogia tra il pensiero di H.S. Sullivan e Vygotsky, nel quadro più ampio delle concezioni di G.H. Mead.
In seguito, Wilson e Weinstein (1992), sul Journal of the American Psychoanalytic Association, esposero un approfondito studio, con spunti clinici, riguardante l’acquisizione del linguaggio, nella prospettiva vygotskiana. In questo lavoro venivano trattati diversi aspetti della dimensione inconscia, come fantasie, identificazioni e meccanismi difensivi. Gli stessi autori, su un numero della medesima rivista del 1996, proposero un collegamento tra il concetto di “Zona di Sviluppo Prossimale” (ZPD), elaborato da Vygotsky nell’ambito degli studi sul bambino, e la nozione di transfert.
Per completezza di informazione, va ricordato che, sul versante della dottrina psicologica, l’approfondimento delle tematiche vygotskiane è stato ampio e sistematico, fin dagli inizi degli anni ottanta. Ciò in seguito alla pubblicazione in inglese, nel 1978, di una antologia di diversi scritti di Vygotsky raccolti nel volume Mind and Society. Da allora, seguendo questo filone di pensiero, numerosi psicologi hanno evidenziato l’intima relazione tra il contesto ambientale, le emozioni e lo sviluppo (Cole, 1990; Bruner, 1990; Shweder, 1990; Valsiner, 1995).
Questo tipo di studi, che includono unitariamente gli individui e il loro ambiente socioculturale, ha subito posto rilevanti problemi metodologici, producendo atteggiamenti teorici conflittuali. E’ prevalso finora, nello specifico della psicologia, un atteggiamento aperto (Cole, Engestrom, Vasquez, 1997) multimetodologico ed interdisciplinare (Cole, 1998; Rogoff, 2003).
Ovviamente, nell’ambito di questo lavoro, che si propone una prospettiva psicoanalitica, di tipo storico, è opportuno prescindere dal versante strettamente psicologico e non è possibile approfondire, a sufficienza, questi temi di carattere metodologico.
Tornando, dunque alla realtà storica, si constata che molta parte del pensiero psicologico e filosofico della Russia del primo novecento, fu influenzata dalle idee freudiane.
Tuttavia, mentre da un lato le teorie psicoanalitiche conquistavano vasti spazi, nell’ambito della cultura sovietica, dall’altro, contemporaneamente, a partire dagli anni venti, esse furono sottoposte a dure critiche, sul piano filosofico, rispetto alla loro collocazione nei confronti del marxismo. L’origine di questo atteggiamento negativo è collegata a un complesso quadro teorico internazionale.
Si erano verificati, soprattutto in Austria e Germania, diversi tentativi per utilizzare le concezioni psicoanalitiche a sostegno di revisioni critiche del marxismo.
I filosofi marxisti ortodossi sovietici attaccarono duramente i “revisionisti austromarxisti”, condannando contemporaneamente quasi tutte le teorie da loro gradite, compresa la psicoanalisi. In senso lato, questi attacchi afferivano alla fazione impegnata nella lotta al “trotskijsmo” in ambito scientifico. Del resto, questa fazione estremista criticò e cancellò dal panorama sovietico la maggior parte del patrimonio di ricerche della scienza moderna, come la teoria della relatività di Einstein, la teoria dei “quanti” di Planck, e la moderna biologia. L’attacco alle concezioni psicoanalitiche e a molte teorie psicologiche si protrasse per anni e culminò, anche dopo la scomparsa della psicoanalisi, in una risoluzione del Comitato Centrale del Partito Comunista che il 4 luglio 1936 decretò una “critica severa” di tutti i “principi antiscientifici borghesi”. Come risultato, non solo la psicoanalisi, ma anche le idee di Blonskij e le concezioni storico-culturali di Vygotsky scomparvero dal panorama della psicologia sovietica.
In una società che si andava ristrutturando con criteri autoritari e permetteva la sopravvivenza, solo, di idee omologate, come avrebbero potuto sussistere, per esempio, asili improntati alle concezioni psicoanalitiche? Gli psicoanalisti scomparvero: alcuni emigrarono, altri finirono tragicamente come Tatiana Rosenthal. Poi, a partire dalla seconda metà degli anni trenta, la bufera sovietica divenne talmente violenta e confusa, che colpì non solo il movimento psicoanalitico, ma addirittura gli avversari dello stesso pensiero freudiano. Come dire: non si poteva più parlare dell’inconscio, neppure per dirne male.
Da allora, fin dopo la seconda guerra mondiale, tutta la psicologia sovietica rimase, sostanzialmente, collocata all’interno del quadro della fisiologia pavloviana.
Tuttavia, all’interno di questa situazione generale, alcuni ricercatori, pur essendo lontani dal pensiero freudiano, deviarono dalle linee pavloviane. Costoro posero i presupposti per il riemergere di quei contenuti rimossi, scientifici e affettivi, che avrebbero trovato qualche spazio organizzato solo nella seconda metà del novecento.
Il ritorno del rimosso
Tra gli studiosi che, pur lontani dal pensiero psicoanalitico, si interessarono all’inconscio, allontanandosi dall’ortodossia pavloviana, troviamo Serguei Leonidovitch Rubinstejn (1889-1960). In realtà egli criticò le idee di Freud, ma gli riconobbe il merito di aver posto problemi nuovi alla psicologia e, se non altro, ebbe il coraggio di parlarne. Attribuì un peso teorico alla nozione di inconscio e si addentrò nella distinzione concettuale tra istinto e pulsione. Sembrava temere che gli aspetti biologici assumessero una autonomia filosofica rispetto al mondo; mentre, nella sua prospettiva, il soggetto e il mondo interagivano in chiave processuale (Koltsova et al., 1996).
Queste idee furono organizzate nei Principi di psicologia generale, del 1940, ed ebbero una notevole diffusione con la seconda ristampa del 1946.
Nonostante tutto, i teorici del marxismo ufficiale e in particolare E.T. Chernakov lo accusarono di simpatizzare per la psicoanalisi, deviando dal “materialismo storico” (Cfr.Wortis, 1950).
Lo scopo di questi marxisti estremi consisteva nella storicizzazione totale della persona umana, compresi gli aspetti biologici ed istintuali.
Contemporaneamente, venivano ignorati i contributi di quei teorici del marxismo, come Lukàcs (1923), che si erano già interrogati sul peso del “fattore soggettivo” nella storia. Svalutando l’importanza del fattore soggettivo veniva messa in dubbio non solo la psicoanalisi, ma l’autonomia di metodo di ogni prospettiva e disciplina psicologica, in ambito scientifico.
Di questo rischio apparve consapevole anche un altro importante studioso di quel periodo: V.N. Miasishev (1893-1973). Egli dimostrò familiarità con le teorie psicoanalitiche e, dopo la morte di Stalin, fu nominato direttore del prestigioso Istituto di Psiconeurologia di Leningrado intitolato a V.M. Bechterev. Era anche professore di psicologia nell’università di Leningrado e sosteneva, contrastando il fisiologismo dominante, che il trattamento di alcuni pazienti, soprattutto nei fenomeni ossessivi ed isterici, necessitasse di una prospettiva, fondamentalmente psicologica.
Secondo Miller (1998), alcuni casi clinici proposti da Miasishev risultano ispirati alle teorie psicoanalitiche, anche se l’influenza di Freud non può essere, apertamente, riconosciuta nei suoi lavori. Per queste tacite simpatie verso la “scienza occidentale”, egli non fu mai accolto nell’Accademia di Medicina, rigidamente egemonizzata in quel periodo, dai pavloviani ortodossi.
Contemporaneamente, nella lontana Georgia, fin dagli anni ’40, Dimitri Uznadze (1886-1950) favorito dall’isolamento geografico, si occupava sistematicamente dei fenomeni inconsci. Egli propose una propria teoria in alternativa alla contrapposizione tra determinismo psichico e causalità fisica. Tuttavia, nella sua ricerca, sia sui fenomeni inconsci, sia sui fatti psichici in genere, dichiarò di attenersi al criterio sperimentale della causa oggettiva.
Il concetto chiave della teoria di Uznadze è ciò che egli chiama “ustanovka”, generalmente tradotto con la parola “set”. Il termine set descrive una configurazione psichica inconscia che governa i rapporti del soggetto con il suo ambiente. I set si formano nel corso della crescita dell’individuo, nelle reazioni dell’organismo a situazioni determinate. Essi possiedono, quindi, la caratteristica della storicità; possono mutare, entrare in conflitto fra loro e così via. Uznadze ebbe sempre un atteggiamento critico verso la psicoanalisi e sottolineò questa storicità dei set perché i teorici del marxismo sovietico accusavano Freud di mettere in sottordine le determinanti sociali. Quando nel 1978 si tenne a Tbilisi, nella Georgia sovietica, il primo convegno internazionale che rilanciava il tema dell’inconscio nella Russia del dopoguerra, Nancy Rollins (1978) polemizzò con queste accuse in chiave paradossale. Ella osservò che la psicoanalisi considera il Super-Io, principalmente, un effetto dell’ambiente e dell’educazione ricevuta dai genitori, nell’ambito familiare. Da questo punto di vista, in un diverso contesto, si potrebbe affermare che la psicoanalisi finisce per sopravvalutare il ruolo dei fattori sociali. Diversificandosi dalla reattologia, dalla riflessologia, e da tutte le branche del behaviorismo, Uznadze rifiutò l’approccio atomistico alla psiche umana e propose una teoria intenzionalmente olistica.
Quando verso la metà degli anni venti, la discussione relativa alla teoria della coscienza aveva assunto toni vivaci, si erano delineate due posizioni alternative. La prima suggeriva di abbandonare il concetto di coscienza, come una superstizione mentalistica, per uno studio oggettivo del comportamento. La seconda tentava, in qualche modo, di salvare tale concetto. Uznadze riteneva che la nozione di coscienza fosse necessaria nell’arsenale psicologico; ma egli suggeriva anche di considerare il set non-conscio come un’entità psichica autosufficiente.
Per motivi contingenti, come l’isolamento anche geografico delle ricerche sul set, svolte in Georgia, e il fatto che le pubblicazioni di Uznadze avvenivano in lingua georgiana, passarono più di trent’anni fra il concepimento della teoria dei set e la pubblicazione, in russo, delle principali opere di Uznadze, avvenuta nel 1961. D’altra parte, la psicologia georgiana considerava la linea di ricerca sui set quasi acriticamente e vedeva nell’opera di Uznadze un elemento di orgoglio nazionale. Per tali motivi, e forse perché Stalin era georgiano, la psicologia dei set passò indenne attraverso le battaglie ideologiche degli anni ’30 e ’40 e fu anche scarsamente coinvolta dalla vivace ripresa degli studi ad indirizzo pavloviano avvenuta negli anni ’50. Alla fine degli anni ’50, tuttavia, i pavloviani ortodossi accostarono la nozione di set, con la sua dimensione inconscia, alle idee espresse dal filosofo E. Mach (1838-1916). Sul piano metodologico, in ambito sovietico, era un’accusa pesante, perché Mach, a suo tempo, era stato attaccato dallo stesso Lenin. Nonostante ciò, nel 1957, Z.I. Chodzava scrisse un ampio articolo in difesa delle idee di Uznadze e del concetto di set, che continuò a mantenere una rilevante presenza nella psicologia russa.
Su un piano più generale, in quegli anni, veniva criticata ogni tipo di prospettiva psicologica che non si accordasse con la fisiologia pavloviana. Questo periodo, indicato come la “Ripresa pavloviana”, si era sviluppato a partire dalla “Sessione scientifica sui problemi della dottrina fisiologica dell’accademico I.P. Pavlov”, organizzata dall’Accademia delle Scienze e da quella delle Scienze Mediche, che si era tenuta a Mosca dal 28 giugno al 14 luglio 1950.
Tale “Sessione” rimase un punto di riferimento ideologico e metodologico per più di un decennio. Il riferimento filosofico era costituito dal parallelismo psicofisico.
Nel 1957 D.D. Fedotov, direttore dell’Istituto di Psichiatria del Ministero della Sanità Sovietico scrisse, su invito, un articolo per il periodico statunitense The Monthly Review, dove, oltre alle scontate critiche a Freud, ribadiva, in chiave leninista che “la psiche è un riflesso, nel cervello, di una realtà esistente oggettivamente”.
Nell’ottobre del 1958, sotto gli auspici del Presidium del Soviet dell’Accademia delle Scienze Mediche si tenne, a Mosca, un convegno sui “Problemi della lotta ideologica contro il moderno freudismo” (Bondarenko P.P., Rabinovich M.Kh., 1959). In questa occasione fu riproposto il solito ventaglio di critiche, neurologiche, psicologiche e filosofiche nei confronti della teoria psicoanalitica. Si cominciava, tuttavia, ad avvertire l’influenza del pensiero di Freud in ambito sia scientifico, sia culturale e due studiosi V.N. Miasishev e P.K. Anochin sostennero che per poter criticare la psicoanalisi bisognava studiarla meglio. Dopo la morte di Stalin, cambiando il quadro politico generale, diversi autori sostennero il ristabilimento dell’autonomia metodologica della psicologia, criticando il pavlovismo ortodosso come meccanicistico e riduzionista. Tuttavia, nel 1959, durante un Convegno in Cecoslovacchia, che riunì studiosi occidentali e dei paesi dell’est, la psicoanalisi fu nuovamente criticata in favore del pavlovismo.
Solo nel maggio 1962, quando a Mosca si tenne la “Sessione di tutta l’Unione sui problemi filosofici connessi alla fisiologia dell’attività nervosa superiore ed alla psicologia” furono attaccate le posizioni meccaniciste prese durante la riunione delle due Accademie del 1950.
La psicologia venne, ufficialmente, riabilitata e promossa a scienza indipendente. Il problema dell’inconscio si ripropose e venne indicato all’attenzione il modello di Uznadze, le cui opere erano state tradotte dal georgiano in lingua russa da pochi mesi.
Anche i contatti con l’Occidente, interrotti al tempo della guerra fredda, si ravvivarono.
Nel 1964 si tenne, a Berlino Est, un convegno dedicato ad un tema più specifico: la fisiologia, la patologia e la terapia cortico-viscerale. Quest’ultima definizione, cortico-viscerale, sostituiva ufficialmente, dal 1950, il termine “psicosomatico”, ideologicamente contestato dai sovietici. Parteciparono al convegno anche diversi psicoanalisti occidentali come Wittkowen, interessati ai fenomeni psicosomatici.
In quella circostanza, riferisce Chertok (1982), il fronte sovietico antipsicoanalitico perse la sua compatezza.
Nonostante i tradizionali attacchi alla psicoanalisi, avanzati da I.T. Kurtsin, direttore dell’Istituto delle ricerche cortico-viscerali, autorevoli personalità come Birjnkov, direttore dell’Istituto di medicina sperimentale dell’Accademia di medicina di Leningrado e Cernigovskij, direttore dell’Istituto Pavlov, moderarono la polemica antipsicoanalitica, ponendo al centro dei loro interventi il problema psicologico delle emozioni umane. Lo stesso Kurtsin, nel 1965, riesaminò le sue posizioni antifreudiane nel volume Una critica del freudismo in medicina e fisiologia, dove riconobbe la genesi della medicina psicosomatica a partire dalla diffusione della psicoanalisi in ambito fisiologico e neurologico.
Nello stesso anno, A.M. Kaletskij pubblicò un articolo di argomento filosofico sull’autorevole Giornale di Neuropsichiatria e Psichiatria. In esso prendeva in esame il rapporto tra psicoanalisi ed esistenzialismo e criticava entrambi, in base a valutazioni ideologiche. Nel 1967, I.S. Kon, un eminente sociologo dell’università di Leningrado, pubblicò il volume Sociologia della personalità che, sia pure in chiave critica, conteneva un intero capitolo dedicato alla teoria psicoanalitica della personalità, dal punto di vista della sociologia sovietica.
Tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, si delinearono, in Russia, precise linee di studio riguardo ai temi del cervello e della psiche.
Da una parte un raggruppamento “anti-psicologico” di estrazione psichiatrica, afferente all’Accademia di Medicina di Mosca. Costoro si interessavano, essenzialmente, delle psicosi, di cui sottolineavano l’origine organica, proprio mentre, in occidente, prendeva spazio il punto di vista psicosociale.
D’altro canto, esisteva un gruppo di studiosi, orientati in senso psicologico, che proponevano nuovi sviluppi della teoria del set di Uznadze, mentre aumentava l’interesse verso la psichiatria non farmacologica ed i vari metodi psicoterapeutici, compresa la psicoanalisi, in uso in occidente.
Grande sviluppo ebbe in quel periodo, anche la scuola neuropsicologica di Aleksandr R. Luria. Quest’ultimo, abbandonati, fin dagli anni trenta, gli interessi psicoanalitici, a causa della repressione ideologica, si era dedicato allo studio del cervello e, in particolare, delle funzioni corticali.
Nell’evolversi di tale prospettiva di studio, anche Leòntiev diede contributi di importanza fondamentale.
Negli anni ’70, la “Teoria dell’attività” di Leòntiev divenne, virtualmente, la dottrina ufficiale sovietica. Partendo da allora, all’interno di una prospettiva essenzialmente psicologica, alcuni studiosi svilupparono una concezione della personalità umana che era attenta ai contributi della “Scuola georgiana” e che è poi fiorita pienamente, fino ad oggi, avvalendosi anche delle concezioni di Vygotsky (Cfr. Asmolov A., 1998). Negli anni settanta, il confronto ed il dibattito sull’inconscio proseguirono sostanzialmente per merito dei Georgiani e di tutti i seguaci della teoria del set di Uznazdze.
Filipp Veniaminovic Bassin costituisce, con la sua opera, il maggior punto di riferimento, teorico e storiografico, rispetto alla tematica dell’inconscio, in quel periodo.
Il suo volume Il problema dell’Inconscio (1968) è la prima opera sovietica che contenga, nel titolo, la parola “inconscio”, a partire dagli anni ’20. Ciò era sintomo di una diffusa esigenza scientifica. Bassin, comunque, non accettò mai la prospettiva psicoanalitica freudiana, considerando invece l’inconscio come una forma di manifestazione della “attività nervosa superiore”, da studiare fisiologicamente e neurologicamente, con metodi sperimentali. Per questo, la nozione di set mutuata da Uznadze risultava “l’unica concezione dell’inconscio sperimentalmente fondata” (1968).
In generale, temeva che la psicoanalisi collocasse l’inconscio in una posizione troppo separata dalla coscienza; collegava i lapsus a motivi latenti dei set e individuava rischi di antropomorfismo nel significato simbolico dei sogni. In ciò adottava la prospettiva del sovietico I.E. Volpert (1966) che, negli anni ’60, aveva condotto ricerche ed esperimenti sul sogno.
Elementi per contrastare queste critiche si sarebbero potuti trovare nelle indicazioni di Cesare Musatti che, fin dal 1959, con un aperto dialogo scientifico, aveva risposto alle contestazioni che Bassin andava già avanzando alla psicoanalisi, in diversi e diffusi articoli. In tale occasione, Musatti aveva difeso la scelta del criterio interpretativo psicologico effettuata da Freud evidenziandone il valore, sostanzialmente di metodo, da non contrapporre, quindi, come alternativa, alla prospettiva fisiologica. Inoltre, aveva sottolineato alcune incongruenze manifestate da Bassin nel valutare le concezioni freudiane relative alla catarsi e alla simbolizzazione onirica.
Due anni dopo, anche Emilio Servadio (1961) polemizzò con i russi su argomenti relativi al rapporto tra psicoanalisi e letteratura.
Le posizioni dei sovietici non risultavano però omogenee. In quello stesso periodo, A.E. Serozija (1969; 1973), esponente di rilievo della “Scuola georgiana”, sostenne, differenziandosi da Bassin, che, sul piano dei principi, esistevano alcuni interessi comuni tra Uznadze e Freud.
Entrambi, affermò, si opponevano alla psicologia ottocentesca, che scomponeva “a mosaico” le funzioni psichiche coscienti, come la percezione, la volontà, la cognizione e così via. Entrambi ritenevano che dei processi inconsci determinassero il contenuto dell’attività psichica e condividevano convinzioni filosofiche di tipo monista. Entrambi, infine, avevano realizzato un sistema psicologico di tipo generale.
In seguito, alcuni studiosi occidentali e in particolare Nancy Rollins (1978) ripresero questo filone di pensiero che voleva identificare, anche con qualche forzatura, un terreno comune tra Freud e Uznadze.
Negli anni ’70 l’atmosfera politica e culturale dell’Unione Sovietica andava, progressivamente, modificandosi. Cominciava ad esserci spazio per il tema dell’inconscio, anche partendo proprio da una critica ideologica a Freud. E’ il caso della seconda edizione, nel 1971, del libro di A.M. Sviadoshch Le nevrosi e il loro trattamento, originariamente pubblicato nel 1959. Nonostante le scontate critiche a Freud e, in particolare, alla sessualità infantile, trapelava una certa simpatia per Alfred Adler; forse per la sua vicinanza al movimento socialista degli inizi del ‘900 e per l’introduzione, nella clinica, delle psicoterapie di gruppo, apprezzate anche ideologicamente. Nel 1977, A.E. Lichko, dell’Istituto Bechterev di Leningrado, valorizzò, in un articolo, gli aspetti psicologici relazionali dell’infanzia; mentre nel 1978 A.H. Boiko, a Kiev, nel volume Il problema dell’inconscio in filosofia e le scienze concrete, sempre criticando, sul piano ideologico, Freud, indicava nell’inconscio un reale meccanismo adattivo dell’organismo.
Nello stesso periodo, sul versante della riflessione sociologica, una nuova generazione di studiosi, iniziò a interessarsi di psicoanalisi, mostrando particolare attenzione a Erich Fromm e Jacques Lacan. Fromm, gradito per la sua estrazione marxista, fu un punto di riferimento del lavoro di V.M. Leibin, filosofo dell’università di Mosca, che, nel 1972, scrisse: Conformismo e rispettabilità della psicoanalisi. Il volume, che sosteneva una tendenza al conformismo sociale della psicoanalisi, introduceva contemporaneamente i lettori sovietici all’opera di personalità come Karen Horney, Harry Stack Sullivan, Erik Erikson ed Herbert Marcuse. Nel 1972 e nel 1974, un giovane sociologo moscovita, V.N. Dobrenkov, in due lavori che descrivevano Fromm come “un teorico liberal-borghese”, offriva però un panorama delle concezioni teoriche neo-freudiane nell’ambito della cultura europea e statunitense.
Contemporaneamente, nel 1973, N.S. Avtonomova pubblicava Le concezioni psicoanalitiche di Lacan, un vasto articolo che introduceva i lettori sovietici al complesso pensiero di questo autore, senza indicarlo come un “antagonista borghese del socialismo”.
Altri lavori su Lacan, apprezzato anche per la sua vicinanza al marxismo, continuarono ad apparire nella metà degli anni ’70; ma l’opera di maggior interesse, per ampiezza e profondità, appartiene al già citato V.M. Leibin che, nel 1977, pubblicò: Psicoanalisi e filosofia del neo-freudismo. E’ un serio studio, in cui l’influenza della psicoanalisi, europea e statunitense, viene esaminata in più campi, come la psichiatria, la filosofia, la sociologia, l’arte e così via. La competenza psicoanalitica è valorizzata sia nella clinica, sia in ambito culturale e sociale. Il volume conteneva, anche, un resoconto delle teorie di Wilhelm Reich ed un confronto filosofico tra la teoria psicoanalitica e l’opera di alcuni grandi pensatori occidentali: da Kierkegaard a Bergson, a Sartre e altri.
Il tema dell’inconscio era diventato oggetto di interesse per gran parte del mondo scientifico russo. Si avvertiva l’esigenza di un bilancio sull’argomento per legittimare questo tipo di ricerca nell’ambito della politica culturale. Ciò accadde in un grande convegno tenutosi a Tbilisi, in Georgia, nel 1979. Esso rappresentò, storicamente, un punto di svolta rispetto allo studio dell’inconscio, in Russia. Un’atmosfera politica relativamente meno rigida rese possibile tale convegno, promosso dai massimi esponenti della “Scuola georgiana”, nella patria di Uznadze.
Oltre a F.V. Bassin, il maggior teorico dell’inconscio di quegli anni, vi erano A.S. Prangisvili uno psicologo, ricercatore dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Sovietica Georgiana e A.E. Serozija, docente in psicologia dell’Università di Stato di Tbilisi. Partecipava all’organizzazione Sergei Tsuladze, uno psicologo georgiano che aveva effettuato un trattamento psicoanalitico a Parigi. Tra i promotori stranieri, figuravano Nancy Rollins, psichiatra americana che aveva studiato a Mosca e Leòn Chertok, psichiatra francese con ampia formazione in ambito psicoanalitico e psicosomatico.
Al Primo Simposio Internazionale sull’Inconscio, tenutosi a Tbilisi, dal 1° al 6 Ottobre 1979, parteciparono oltre 1400 persone. Provenivano non solo dal mondo della medicina e della scienza, ma anche dalla letteratura, dall’arte, dalla sociologia, dalla filosofia e dalle “differenti scuole di psicoanalisi”. I convenuti, oltre che dall’Unione Sovietica, giungevano dall’Europa e dall’America. Tra costoro, vi era il noto linguista Roman Jakobson, che entusiasmò la platea esponendo la sua relazione in lingua georgiana.
Anche Jacques Lacan e Cesare Musatti erano attesi, ma non poterono partecipare. L’avvenimento rappresentò una vittoria per tutti quegli psicologi russi che avevano cercato di opporsi alla dottrina pavloviana imperante e di approfondire lo studio della teoria psicoanalitica. George Pollack (1982), direttore dell’Istituto Psicoanalitico di Chicago, rientrando da Tbilisi ricordò la curiosità e l’entusiasmo dei colleghi russi, per questo straordinario evento.
Gli atti del Simposio furono pubblicati con data 1978, in quattro volumi, a cura di Prangisvili, Serozija e Bassin, per un totale di 2710 pagine, anticipando di un anno, al 1978, la data di edizione rispetto all’evento reale (Cfr. Miller,1998). Il fatto che l’Accademia delle Scienze di Tbilisi lavorasse da diversi anni, fra varie difficoltà, ma con progetti amministrativi prestabiliti, per organizzare il Simposio (Lobner e Levitin, 1978) lascia supporre una spiegazione tecnica per questa piccola discrepanza formale. Il quarto ed ultimo volume apparve diverso tempo dopo, nel 1985, e fu dedicato alla memoria di Serozija, nel frattempo scomparso.
Il primo volume è intitolato Lo sviluppo di una idea ed è diviso in tre sezioni. La prima parte affronta il problema della realtà psicologica dell’inconscio e contiene ampi contributi dei ricercatori georgiani della scuola di Uznadze. La seconda tratta l’evoluzione di tale concetto prima, durante e dopo l’opera di Freud; in essa è presente il contributo di Nancy Rollins. La terza parte illustra i meccanismi neurofisiologici attinenti l’inconscio e contiene il lavoro di Cesare Musatti.
Il secondo volume è orientato, essenzialmente, verso le applicazioni cliniche e gli studi sperimentali, con il titolo: Sonno, Clinica, Creatività. Vi sono raccolti studi sull’attività dell’inconscio in condizioni di ipnosi, argomento caro ai sovietici, nonché riflessioni sul rapporto tra inconscio, stati clinici e creatività artistica. Anche lo scritto di Louis Althusser compare in questo contesto. Il volume contiene numerosi contributi di autori americani, nonché i lavori di studiosi sovietici, come Sviadoshch, Fedotov e Lichko che, sebbene si fossero espressi criticamente verso la psicoanalisi, attenuarono, nella forma, i loro contrasti.
Il terzo volume è intitolato Cognizione, Comunicazione e Personalità e contiene un laborioso tentativo di integrare, reciprocamente, le concezioni teoriche di Vygotsky e di Uznadze. In esso compaiono, anche, i contributi di Silvano Arieti e Roman Jakobson.
Il quarto ed ultimo volume, Risultati della Discussione apparve qualche anno dopo, nel 1985, e approfondiva il confronto tra quelli che, secondo i sovietici, erano i due approcci basilari al fenomeno dell’inconscio: l’orientamento psicoanalitico freudiano e post-freudiano e i metodi di ricerca utilizzati dai seguaci di Uznadze. La teoria del set di Uznadze, nella versione elaborata da Serozija, era proposta come il metodo scientifico più avanzato per studiare le funzioni dell’attività mentale inconscia. Contemporaneamente anche l’opera di Freud veniva dichiarata indispensabile per compiere questa impresa.
Nonostante le controversie tra le varie scuole, tutti concordarono nel criticare i vincoli ideologici subiti dalla ricerca e contestarono come ciò avesse ritardato la crescita in molti campi del sapere scientifico. Ciò avveniva in un ambiente intellettuale dove ancora molti, semplicemente, negavano l’esistenza di meccanismi psichici non coscienti.
Il Simposio di Tbilisi fu un punto fondamentale nella storia dell’inconscio in Unione Sovietica. Per la prima volta, dagli anni ’20, veniva fatto uno sforzo genuino per accostare le teorie psicoanalitiche evolutesi in Europa e negli Stati Uniti ai paralleli sviluppi delle ricerche sull’inconscio in ambito sovietico (Cfr. Chertok, 1982).
I sovietici si dimostrarono particolarmente attratti da quegli orientamenti teorici psicoanalitici che portavano critiche alla metapsicologia. In particolare, nell’introduzione, i tre curatori espressero un certo apprezzamento per le idee di George Klein, che si andavano allora diffondendo. Come è noto, Klein (1973, 1976) suggerisce, in sintesi, una separazione dell’aspetto metapsicologico da quello clinico, a favore di quest’ultimo, nell’intento di individuare nuovi strumenti, capaci di afferrare l’esperienza soggettiva del paziente e cogliere la relazione terapeutica.
Ciò rappresentava per i sovietici un allontanamento dalla teoria degli istinti ed un supporto nell’implicito compito che si erano proposti: ovvero separare la psicoanalisi dalla neurologia e dagli orientamenti biologici. Contemporaneamente, dovevano far ciò senza offrire il fianco agli attacchi di idealismo, che potevano venire dai cosiddetti materialisti ortodossi. In questo difficile equilibrio, si accostarono anche ad alcuni concetti espressi, in quel periodo, da Wallerstein (1976), che sottolineava come la sfera propria della psicoanalisi sia quella del significato e dell’intenzione, che non possono essere spiegati nell’ambito del determinismo biologico. In questo contesto, anche Lacan, con l’idea che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio, ottenne qualche successo, poiché sembrava che tale principio aprisse tendenzialmente la strada verso la dimensione sociale. Chiaramente, queste varie prese di posizione avvennero in forma disomogenea, con forti differenze tra le varie fazioni, che mantenevano, comunque, una buona distanza concettuale dal mondo psicoanalitico. Un denominatore comune, ben percepibile negli scritti dei curatori, era il timore che il riconoscimento dell’autonomia scientifica della psicoanalisi li trascinasse verso l’idealismo filosofico, riproponendo la temuta dicotomia tra cervello e mente, tra mente e corpo.
Non si trattava tanto di plausibili dubbi filosofici, quanto di arcaiche razionalizzazioni ideologiche stimolate sia dal timore sia dalla curiosità verso ciò che lo stesso Freud aveva chiamato “la peste”. La psicoanalisi era un oggetto temuto, ma ambivalentemente, ancor più desiderato e il Simposio di Tbilisi segnò storicamente la rottura di un argine, il superamento di incongrue difese rispetto a un sapere psicoanalitico che, in definitiva, era profondamente voluto.
Secondo Tugaybayeva, dopo Tbilisi “la diffidenza e l’allarme verso l’inconscio iniziarono a scomparire e si stabilirono le premesse per un serio studio di Freud e della psicoanalisi, che ora si espande” (Tugaybayeva, in: Koltsova et al., 1996, pag.264).
Non si dimentichi, inoltre, che già esistevano delle realtà dove le idee psicoanalitiche erano, mimeticamente, filtrate. Per tutti gli anni settanta, nell’Istituto di Neurologia di Mosca, Bassin ed altri ricercatori impegnati nella psicosomatica, avevano usato concetti come “difesa psicologica” e “motivazioni inconsce”; sebbene questi termini venissero evitati o modificati nei testi. In questo ambito, si avvertiva, da più parti, la mancanza di una elaborazione autonoma, specificamente russa, del pensiero psicoanalitico.
Ovviamente, si formò anche un gruppo di oppositori “antipsicoanalitici”, capitanati da L. Kukuev (1980). Tuttavia, fin dal 1980, l’argomento fu proposto sia sulle riviste scientifiche, sia su pubblicazioni di più vasto interesse pubblico.
La Literaturnaya Gazeta del maggio 1980 dette ampia diffusione ai temi del convegno di Tbilisi. In un articolo dei tre organizzatori, mentre si criticavano le interpretazioni sociologiche della psicoanalisi, si riconoscevano, alla medesima, precise e positive virtù terapeutiche.
Anche nel cinema russo, per la prima volta, si parlò della psicoanalisi. Andrei Zagdanisky, nel 1988, realizzò un documentario di ispirazione psicoanalitica e di argomento sociologico intitolato L’interpretazione dei sogni (Tolkovanie snovedeniia). Il film si conclude con queste parole sullo schermo: <<Dal 1929 al 1989. Freud non è stato pubblicato in U.R.S.S.>>.
Ancora: la Literaturnaya Gazeta, nel giugno 1988, offrì un estratto dell’opera di Jean Paul Sartre, intitolato Lo scenario Freudiano, assieme ad un ampio ritratto biografico di Freud e ad un articolo introduttivo di Aron Belkin, direttore dell’Istituto di Psicoendocrinologia di Mosca. Nel gennaio 1989 anche il periodico popolare di cultura medica Meditsinkaya Gazeta, a larga diffusione, pubblicò un numero unico dedicato a Freud.
Sempre nel 1989, la rivista letteraria leningradese Neva pubblicò un articolo di Leònid Gozman ed Alexander Etkind che proponeva una critica sociale dell’Unione Sovietica utilizzando, anche, concetti psicoanalitici. Da allora gli articoli scientifici e divulgativi sulla psicoanalisi e la pubblicazione degli scritti di Freud e dei suoi allievi sono stati numerosi, facilitati dalla nuova atmosfera politica della “Glasnost”.
Nell’agosto del 1989, la Associazione Psicoanalitica Internazionale tenne il suo 36° congresso a Roma. Per la prima volta, dai lontani anni venti si ebbe la presenza di alcuni studiosi russi, tra cui Aron Belkin, direttore dell’Istituto Nazionale di Psicoendocrinologia di Mosca. Quest’ultimo riferì del rinnovato interesse per la psicoanalisi anche come strumento terapeutico, soprattutto a Mosca. Una intervista a Belkin fu, personalmente, raccolta dall’autore di questo articolo.
La sua testimonianza evidenziò quanto la psicoanalisi, in Unione Sovietica, fosse sempre stata una presenza sotterranea, anche in ambito clinico. Egli stesso, giovane psichiatra ad Irkutsk, in Siberia, negli anni cinquanta, aveva constatato come il primario della sua clinica, I. S. Sumbayev, avesse interessi per le teorie psicoanalitiche ed aspirasse, in certi casi, ad utilizzarle clinicamente. Esisteva, dunque, attenzione per la psicoanalisi e, possibilmente, una pratica “segreta” ad essa ispirata, anche in tempi lontani. Purtroppo non vi sono adeguate fonti scritte che possano documentare, storiograficamente, questo eccezionale fenomeno.
Nella seconda metà degli anni ottanta, lo stesso Belkin, con dei giovani colleghi attratti dalla psicoanalisi, aveva iniziato a lavorare nella prospettiva della clinica psicoanalitica, nell’istituto da lui diretto. Sempre in quel periodo, alla fine del 1988, i partecipanti ad un seminario condotto da Boris Kravstov si organizzarono in una Associazione di Psicologi che, nel 1995, sarebbe divenuta la odierna Società Psicoanalitica Moscovita. Attualmente, esistono diversi membri russi dell’IPA, provenienti da varie esperienze, come quelle sopracitate e altri giovani studiosi chiedono l’accesso al training. Ciò indica, in una prospettiva storica, come il vivace sviluppo contemporaneo della psicoanalisi in Russia affondi le sue radici nel passato, senza interruzioni nette. Del resto, ciò è sostenuto da tutta l’indagine offerta in questo lavoro.
Il collasso del regime, avvenuto nel 1991, con la caduta dell’Unione Sovietica, ha lasciato spazio, come indicato, ad un forte sviluppo, anche istituzionale della disciplina. Tali vicende sono legate alla cronaca e in continua trasformazione; quindi ricadono in un ambito metodologicamente diverso, allo stato odierno, dalla prospettiva storica. La loro analisi, con criteri adeguati, sarà auspicabilmente realizzabile nel prossimo futuro.
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