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Le bambole e il trauma della nascita
L’industria dei giocattoli è riuscita a mettere incinta le bambole. Dopo quelle di colore e quelle con espliciti attributi sessuali, ritornano in vendita (erano già apparse alcuni anni fa), in prossimità del Natale, bamboline in plastica, con un buco nella pancia, da cui fuoriesce, a comando, un “neonato-bambolotto”. Il pretesto, come sempre, è l’educazione, magari sessuale, vessillo sbandierato a quattro mani, quando si vuole piazzare, sul mercato dell’infanzia qualche discutibilissima idea.
Che sia necessario spiegare ai bambini il significato pratico e psicologico della gravidanza è evidente. Tuttavia, impiegare un omuncolo di plastica incapsulato nella cavità addominale di una specie di Barbie per descrivere il delicato fenomeno del parto è come tentare di illustrare l’intelligenza inserendo un cervellino plastificato in un cranio scoperchiato o, meglio ancora, un pò di sale in una zucca. l’insieme evoca, più che la gioia di una nascita, la minaccia di una mutilazione.
Fu, soprattutto, lo psicoanalista austriaco Otto Rank a indagare sui fenomeni psicologici che si verificano nell’individuo, per il fatto stesso di venire al mondo. La nascita, per Rank è un trauma, causato dall’angoscia che ogni neonato sperimenta per la separazione fisica dalla madre. Questa esperienza, definita “angoscia primaria”, costituirebbe il più importante elemento per il futuro sviluppo della persona e rappresenterebbe, anche, la maggior fonte di disturbi nevrotici nell’individuo adulto. Anche se le idee di Rank trovarono diverse opposizioni all’interno dello stesso mondo psicoanalitico e vengono, tuttoggi, acquisite con varie riserve, la nascita rimane, sul piano psicologico un momento dotato di ampie possibilità traumatiche. Quindi, ogni tentativo di banalizzare questo avvenimento è superficiale e ambiguo. E’ pur vero che il gioco e i giocattoli possono servire al bambino per sdrammatizzare alcuni aspetti angosciosi e violenti del suo rapporto con il mondo. In questo caso, però, il dramma coinvolge un legame assolutamente unico e irripetibile: duello che lega il figlio alla madre.
Anche Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, giunse a considerare l’atto della nascita come “il primo, grande stadio dell’angoscia” e ritenne che le indagini su questo evento potessero ampliare le conoscenze “sulla predisposizione all’isterismo d’angoscia, che e cosi forte nell’infanzia”.
Sebbene la nascita risulti un fenomeno naturale, ciò non significa che sia, psicologicamente, banale. Esiste, comunque, un elemento di natura traumatica. L’apparato mentale reagisce, in linea di massima, alla sensazione traumatica, attivando il fenomeno psichico della rimozione. Si tratta di un processo psichico universale che consente all’individuo di respingere fuori dalla coscienza, cioè nell’inconscio, i pensieri, le immagini e i ricordi legati al trauma. Ciò si verifica nei confronti di quegli stimoli, assolutamente intensi, che escludono, per la loro stessa nature, la possibilità di un controllo emotivo da parte del soggetto. Non è, quindi, opportuno abbattere, magari futilmente, il meccanismo della rimozione, se non si è certi che l’individuo abbia conquistato una sufficiente solidità psicologica, rispetto alle sue paure inconsce. Tutto ciò, naturalmente, non significa che i bambini debbano essere tenuti all’oscuro dei meccanismi fisiologici della gravidanza e del parto. Si tratta, però, di informazioni che vanno comunicate quando il bambino abbia raggiunto una adeguata disponibilità psichica. Il momento adatto varia, necessariamente, da individuo a individuo. Ancor più essenziale è che simili informazioni, potenzialmente portatrici di disagio, vengano date da persone, come i genitori, quando la loro presenza costituisca una rassicurazione affettiva per il bambino.
La bambola incinta é un tentativo di trasferire dei criteri da adulto in ambito infantile. Un processo che, complessivamente, porta a seminare sul terreno dell’infanzia, dosi precoci di erotismo e intellettualismo. Si potrebbe, certamente, ottenere un condizionamento positivo del bambino addestrandolo, progressivamente, ad accettare questa realtà cruda e biologica del parto. Ma ciò tenderebbe ad eliminare la dimensione affettiva, sentimentale e sociale che la nostra civiltà attribuisce all’evento della nascita, caratterizzandolo in una dimensione storico-culturale. Si potrebbe anche ottenere l’effetto opposto, gravando un avvenimento assolutamente naturale con precoci spunti evitativi. E‘ pretestuoso, in questo caso il motivo didattico, tanto sono lontani, dal mondo infantile delle bambole, magico e favolistico, la gravidanza e il parto del mondo reale, nella loro dimensione psicologica e storica.