Noi e gli extraterrestri
Sarebbe bello se le notizie che giungono, periodicamente, relative all’avvistamento di veicoli spaziali extraterrestri o, addirittura, a contatti con esseri alieni, fossero vere. Quando si sente parlare di incontri ravvicinati con esseri di altri mondi, qualcuno mormora “Era ora che arrivassero i marziani!”, con lo stesso tono d’aspettativa che si potrebbe riservare alla venuta di un mitico salvatore della patria. Forse perché, considerando il panorama sociale circostante, l’intervento dei visitatori dallo spazio non potrebbe che migliorare la situazione. Altri rammentando le parole di una antica canzone, mormorano, con sentimento “Extraterrestre portami via, voglio una stella che sia tutta mia!”. Chi non ha un buon motivo, nel politico o nel personale, per desiderare uno scambio di idee con qualcuno dotato di un punto di vista assolutamente alieno? Sarebbe bello fare due chiacchiere con questi viaggiatori dello spazio; ma sembra che, dopo una rapida visitina sulla terra, tendano a riprendere il volo, con le antenne ritte sui caschi. Purtroppo, nessuno dei resoconti riguardanti gli incontri ravvicinati del terzo tipo convince pienamente e, in assenza di prove certe, un sano atteggiamento scientifico suggerisce di dubitare.
Attenzione: non è in discussione la possibilità che esista la vita su altri mondi. Da un punto di vista statistico, questa possibilità è altissima; quindi le probabilità sono molto alte. Sono, invece, basse, considerando le distanze interstellari e i tempi di percorrenza per gli spostamenti nel cosmo, le probabilità che una ipotetica civiltà extraterrestre possa giungere a visitare proprio noi. Tuttavia, in senso molto astratto, non è possibile escluderlo e le speranze fantastiche dei fautori del contatto alieno si aggrappano a questa remota ipotesi. E’ inevitabile che, in questa vaghezza, qualcuno finisca per lavorare di fantasia. Tempo fa, nella Russia centrale, si diffuse la notizia di un incontro con gli alieni. Erano alti tre metri, con tre occhi, la divisa argentea, con un disco sul petto e dotati di una specie di pistola lunga mezzo metro, capace di far sparire e riapparire i ragazzini troppo curiosi, che si avvicinavano. Completava la truppa da sbarco un robottino nero, mentre un triangolo luminoso svolazzava qua e là, per pochi attimi, prima di sparire nel nulla. Man mano che questa notizie giungevano dalla fredda Russia, i “tifosi” della vita extraterrestre, muniti di educazione scientifica, perdevano, progressivamente, le speranze. “Sembra un film”, finivano per concludere i più, riponendo il contatto con gli alieni nello scrigno dei sogni irrealizzati. Vale effettivamente, di fronte a vicende così romanzate, più la considerazione del mondo fantastico e, conseguentemente, di quello psicologico, che il tentativo di convincersi dell’incredibile.
Sul piano psicologico, gli extraterrestri sono vecchie conoscenze, cui romanzi e film hanno dato vita. Ne esistono, essenzialmente, due tipi: i buoni e i cattivi; è difficile trovare un extraterrestre che sia, proprio come noi, “così e così”. In genere, i cattivi richiamano alla mente gli indiani dei primi film western: sono brutti, diversi da noi, poco colti, antidemocratici e ne fanno di tutti i colori. Nei film americani del dopoguerra avevano gli occhi a mandorla, come i giapponesi; ma, a volte, sono così differenti da presentarsi in veste di tarantoloni, serpenti, amebe flaccide o, addirittura carotone e “fave” giganti; caso quest’ultimo che evoca enormi e minacciose forme di cacio pecorino in viaggio tra le galassie.
La “proiezione psichica” è il meccanismo mentale che alimenta queste creature fantastiche. Nel caso specifico, la proiezione si sviluppa in due differenti momenti. In primo luogo, si realizza una totale estraneazione dall’alieno. Esso viene concepito con attributi che ispirano repulsione e ribadiscono la sua “diversità”. Dopo questa fase in cui, evocando insetti, rettili o vegetali ci si è convinti che “nulla in comune” esiste tra esseri umani e alieni, si può meglio attribuire a quest’ultimi qualunque intenzione perversa o violenta. Gli extraterrestri si caricano, in tal modo, di quell’aggressività che emerge dalla sfera del nostro stesso inconscio.
In altri casi, quando l’alieno viene recepito come una figura buona e positiva, predomina la dinamica psicologica dell’identificazione. In un vecchio film statunitense degli anni cinquanta, Ultimatum alla terra, prodotto in piena guerra fredda, l’ambasciatore di una civiltà extraterrestre giunge fra noi e ammonisce gli uomini affinché siano buoni, bravi e cessino la corsa agli armamenti. Ovviamente, questo “padre stellare” è assolutamente identico agli esseri umani. Il tema del primo contatto fra gli alieni e l’umanità ha una forte carica simbolica. Esso ha il valore di una nascita e, contemporaneamente, di una crescita. Si può avvertire, in chiave psicologica, il pianeta intero come un punto di partenza.
Le stelle hanno sempre chiamato ma, per partorire la sua umanità nello spazio, il pianeta attende una levatrice d’altri mondi. E’ un argomento, da sempre, vivo nella letteratura di fantascienza, che immagina come esito della vicenda umana l’abbandono dell’utero terrestre, dopo millenni di gestazione, per i più ampi spazi interstellari. Da non trascurare, nel caso di contatti con alieni, la forma dei veicoli con cui essi giungono sulla terra. Prevale la rotondità; dischi e globi, più o meno luminosi, che si muovono nello spazio, assolutamente insensibili alla forza di gravità. Meno frequenti i “sigari volanti”. Rarissime, nonostante il loro fascino geometrico, le forme piramidali.
Carl Gustav Jung, un protagonista nella storia del movimento psicoanalitico, intervenne personalmente nel dibattito sugli extraterrestri quando, negli anni cinquanta, tutti sembravano colti dalla psicosi degli Ufo. Tentò, in quella occasione, non di dimostrare, o meno, l’esistenza dei piatti, dischi o globi volanti, ma di ricondurre a interpretazione psicologica la forma rotonda di quegli oggetti volanti non identificati. Il rotondo è simbolo di totalità e di ordine. Esso appare, preferibilmente, stando all’esperienza, in situazioni caratterizzate da disorientamento e da perplessità. La rotondità si sovrappone, come uno schema ordinatore, al caos della psiche, organizzando il contenuto e mantenendolo coerente, grazie al cerchio che lo custodisce e lo protegge.