L’opera di Otto Fenichel nel dibattito su psicoanalisi e marxismo negli anni trenta – 1979
Per un’analisi storica e critica della psicologia (Ist. Psic. CNR, Roma), 6.
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Nell’ambito del dibattito contemporaneo sul rapporto tra psicoanalisi e marxismo si è andata recentemente rivalutando l’utilità di una indagine di tipo storico sui presupposti teorici dell’argomento (Seve, 1975, p. 185). Non sono mancati in questa direzione contributi di carattere complessivo, in cui il ruolo svolto singolarmente dai primi protagonisti di tale dibattito è emerso in tutta chiarezza (Ruberti, 1976). L’interesse particolare suscitato dalle tematiche sviluppatesi nel secondo e terzo decennio del secolo è giustificato dalla constatazione che il confronto odierno si svolge innanzi tutto sul terreno teorico emerso in quel periodo. È ovvio che in tali indagini acquistino maggiore risonanza autori che, più degli altri, diedero corpo e dimensioni all’argomento, come Alfred Adler che per primo, nel 1909, introdusse il problema nell’ambito della Società psicoanalitica di Vienna, o come Erich Fromm e soprattutto Wilhelm Reich che mossero i primi concreti passi verso una interpretazione storico-sociale di alcuni elementi essenziali della teoria freudiana. Non mancano inoltre precisi riferimenti agli scritti di coloro che, dall’area marxista, assunsero posizioni critiche verso la psicoanalisi (Deborin, 1928, Jurinetz, 1928; Sapir, 1929-1930); ma quasi in nessun caso, in lavori di questo genere, è stata coinvolta direttamente la figura di Otto Fenichel.
Una simile lacuna può risultare comprensibile rispetto ai contenuti della produzione di Fenichel maggiormente diffusa, soprattutto rispetto a quelle opere di carattere preferibilmente clinico e tecnico collegate sul piano editoriale al suo soggiorno negli Stati Uniti (Fenichel, 1939, 1945), dal 1938 fino alla morte, in cui il tema dei rapporti tra psicoanalisi e marxismo non viene affrontato. Tuttavia, questa lacuna appare ingiustificata se si considerano i contributi che egli propose intorno agli anni trenta (Fenichel, 1932) e che furono organizzati complessivamente in un saggio poco diffuso del 1934 (1).
Con quest’ultimo lavoro, La psicoanalisi come nucleo di una futura psicologia materialistico-dialettica, pubblicato sulla rivista diretta da Reich, Fenichel si inserì con pieno diritto nel movimentato dibattito in corso in quegli anni.
L’impianto complessivo del saggio si sviluppa a partire dal problema del materialismo. Riguardo a ciò Fenichel si propone un duplice scopo: evidenziare l’indispensabilità di una fondazione materialista della psicologia e dimostrare come «La psicoanalisi (…) è nella sostanza la sola scienza empirica materialistico-dialettica» (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 300).
L’approccio di cui si avvale è di carattere empirico; la natura materiale della realtà psichica è garantita in quanto «essa è quello che è dato nel nostro mondo dell’esperienza» (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 29); nello storico conflitto tra idealismo e materialismo meccanicista, entrambi da avversare poiché sfociano in una analoga posizione dualista, l’esperienza diviene l’elemento risolutore. È consona a questo atteggiamento la convinzione che alla base dell’esperienza vi siano dei meccanismi fisiologici; convinzione più volte ribadita con richiami alla necessità per la psicoanalisi di «raggrupparsi con le scienze biologiche, — in quanto — le leggi generali che valgono per la vita organica devono anche generalizzarsi allo psichico» (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 294). E implicita inoltre in questa prospettiva l’esigenza di non allontanarsi dall’osservanza freudiana; in effetti il tentativo di fondare la scienza della psiche come una scienza naturale è presente in Freud sin dagli inizi della elaborazione della teoria psicoanalitica (Freud, 1895). Analogamente il richiamo all’esperienza si riallaccia ad una istanza freudiana che individua in essa il collegamento con le manifestazioni psichiche delle pulsioni (Freud, 1915).
Fermo restando l’interesse che il saggio suscita, va osservato che lo sforzo di Fenichel volto a garantire una base materiale alla psicologia con argomenti psicoanalitici, è limitato dagli stessi criteri metodologici impiegati. Infatti, se le leggi generali della vita psichica riguardano essenzialmente la sfera delle scienze biologiche, allora ogni ricerca dovrà essere indirizzata ad individuare «le regolarità della vita umana mentale — mantenendosi — assolutamente libera da ogni giudizio di valore» (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 294). L’insufficienza di simili presupposti per comprendere la effettiva dialettica della socializzazione dell’individuo va spiegata anche riferendosi ad un complessivo fraintendimento ideologico del marxismo cui Fenichel intende ricollegarsi.
Interpretando in chiave riduttiva la concezione marxista dell’ideologia, egli suggerisce una analogia meccanica tra la “base economica” delle formazioni sociali e la “base libidica” della psicologia individuale; entrambe infatti andrebbero alla ricerca delle cause materiali nascoste che regolano lo sviluppo storico; la prima sul piano sociale, la seconda su quello individuale (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 302). Questo atteggiamento riduzionista, che finisce per sfociare da una parte in una interpretazione univocamente economica della storia, dall’altra in una visione biologica della psiche, trascura il fatto che Marx fonda l’oggettività dei rapporti economici sull’analisi dell’uomo come animale sociale che compie una concreta attività pratica interagendo con la natura e la comunità, concezione questa che Reich dimostra invece di tenere presente.
La posizione di Fenichel infatti differisce profondamente da quella proposta da Reich, anzi, se si considera il legame di collaborazione pratica e teorica che li unì nel periodo precedente al XII Congresso Psicoanalitico Internazionale (2), non si può fare a meno di stabilire un confronto tra i due. In Reich il problema di garantire una base materiale alla psicoanalisi viene affrontato alla luce di una concezione che fonda la personalità umana sull’attività pratica dell’individuo, nei suoi rapporti con la natura e con la società (Reich, 1929; tr. it. 1972, p. 18). Questo atteggiamento lontano dalla astrazione, che corrisponde pienamente alla personalità politica di Reich ed al concreto impegno di cui si fece portatore nel movimento comunista risulta inoltre, ad una analisi libera da pregiudizi, sorprendentemente vicino alle posizioni sviluppate negli anni venti dalla scuola storico-culturale sovietica.
Ovviamente qui non si intende affiancare l’opera di Reich, che anche nel periodo fin qui preso in considerazione risulta teoricamente eterogenea, alle concezioni generali della scuola storico-culturale, ma solo evidenziare alcuni punti di contatto con quest’ultima reperibili essenzialmente in Materialismo dialettico e psicoanalisi. D’altra parte Reich, in quanto militante del Partito Comunista Tedesco e studioso aggiornato doveva, se non altro, essere venuto a conoscenza della produzione apparsa sulle riviste collegate al partito e all’ambiente psicoanalitico. Ci si riferisce qui, in particolare, a due articoli di A. R. Lurija (1926 a, b); ma è ragionevole supporre che Reich, sempre attento agli sviluppi della tematica sessuale in Unione Sovietica, fosse venuto a conoscenza della produzione russa di maggior importanza sul rapporto marxismo-psicoanalisi (3).
Secondo la concezione di Vygotskij, nell’individuo le funzioni psichiche superiori si manifestano inizialmente nell’ambito delle attività collettive e sociali, come funzioni interpsichiche, secondariamente, tramite una mediazione di carattere linguistico e più in generale semantico, appaiono nell’attività individuale come proprietà interne del pensiero, cioè come funzioni intrapsichiche. Sebbene l’importanza della funzione linguistica nello sviluppo individuale sfugga all’analisi di Reich, fatto del resto comprensibile rispetto alle differenti istanze emerse nell’ambiente scientifico in cui operava, appare plausibile ipotizzare che l’attenziorw che egli pone sulla “attività umana sensibile”, sulla prassi, non lo collochi lontano dalla prospettiva assunta da Vygotskij.
Ma somiglianze ancor maggiori, sul piano metodologico, sono identificabili con il lavoro di Lurija del 1925 volto a dimostrare il fondamento monista della psicoanalisi; dove Lurija, pur mantenendosi in una dimensione critica, sviluppa un atteggiamento favorevole verso quest’ultima. Egli ritiene che «dal punto di vista dell’attivismo pratico, occorre studiare l’uomo come un organismo biosociale integrale»; in questa prospettiva apprezza nella psicoanalisi l’intento di comprendere la personalità umana nel suo insieme vedendo in essa un superamento della psicologia ottocentesca volta all’analisi delle funzioni psichiche isolate. Sottolinea inoltre la causalità biologica delle pulsioni, opponendosi alle accuse di teleologismo e nell’indagare sulle “fonti organiche” delle medesime entra nel merito di quel meccanismo “tensione-scarica”, che Reich nel 1927 avrebbe messo alla base delle sue elaborazioni in La funzione dell’orgasmo (Reich, 1..927).
Il lavoro si conclude con due indicazioni di carattere metodologico: la necessità per la psicoanalisi di «sviluppare in tutta la sua pienezza la dinamica, la dialettica della vita psichica» e di introdursi «nel sistema dell’influenza sociale». Proprio a questi criteri metodologici corrisponde la struttura di Materialismo dialettico e psicoanalisi, in cui Reich, sebbene in una dimensione teorica necessariamente diversa, si propone precisamente di dimostrare: «1) I fondamenti materialistici della teoria psicoanalitica; 2) la dialettica della vita psichica; 3) la posizione sociologica della psicoanalisi» (Reich, 1929; tr. it. 1972, p. 17). Nonostante i punti di contatto, la cui origine più o meno causale meriterebbe una indagine a sé, con una visione scientifica coerente ed i richiami ad un marxismo che vorrebbe essere rigoroso, il tentativo di Reich di fondare una psicologia materialista sulla concreta prassi umana non è certo privo di contraddizioni.
Ciò risulta particolarmente evidente nella sua critica alla teoria della pulsione di morte (Freud, 1920). Reich si oppone ad ogni ipotesi che ricolleghi a delle proprietà biologiche le tendenze distruttive dell’uomo; quindi propone una interpretazione storica che vede nell’aggressività una formazione secondaria conseguente ad una frustrazione di tipo sessuale; ma nel far ciò appoggia la sua posizione criticando l’insufficiente fondamento corporeo della pulsione di morte, ricadendo quindi in quell’atteggiamento con cui aveva inizialmente polemizzato.
Paradossalmente proprio Fenichel, per tornare al confronto tra i due, il quale sarebbe divenuto uno dei principali oppositori della pulsione di morte (4) evita nel saggio del 1934 di prendere posizione sull’argomento, fornendo a Reich il motivo per delle recriminazioni che, dopo l’espulsione di quest’ultimo dalla Associazione Psicoanalitica Internazionale, si sarebbero trasformate in veri e propri attacchi personali (Reich, 1970, p. 199). Va osservato che nonostante il comune richiamo al materialismo dialettico i concreti punti di contatto tra i due sono saltuari e, in ultima analisi, possono essere ricondotti a due argomenti fondamentali.
Il primo riguarda la preoccupazione, comune ad entrambi, di riallacciarsi alle basi biologiche degli istinti; l’identica esigenza li spinge a volgere l’attenzione sui meccanismi cellulari. Scrive Fenichel: «Tutte le sostanze viventi possiedono l’irritabilità (…). Uno stimolo agisce su ciascuna struttura data. Questo induce uno stato di eccitazione che tende ad una reazione o scarica» (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 295).
Una tematica, come si vede, consona all’indirizzo biologico di Fenichel; essa è affrontata anche da Reich, il quale però ne esaspera la caratterizzazione sessuale giungendo addirittura a definire il fenomeno tensione-scarica come «la formula dell’orgasmo» (Reich, 1927; tr. it. 1969, p. 281). Una simile radicalizzazione della sessualità propria dell’intera produzione reichiana non assume in Fenichel la medesima importanza; quest’ultimo pur riconoscendo il valore essenziale e dinamico della sessualità nello sviluppo individuale, attribuisce alla natura dei “bisogni biologici” una diversa connotazione in cui il ruolo della autoconservazione non manca di porsi in primo piano.
Questa diversa valutazione del fattore sessuale influenza anche il secondo punto di contatto, cioè la concezione dell’inconscio. Entrambi, facendo riferimento all’energica rimozione subita dall’intera esperienza sessuale infantile, identificano nell’inconscio «prima i bisogni biologici dell’uomo e secondariamente le modificazioni di questi bisogni che avvengono tramite l’influenza del mondo esterno» (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 302; cfr. Reich, 1933, cap. VII); ma tale convergenza risulta limitata se si analizzano le diverse conseguenze che essi ne traggono sul piano sociale e politico.
Mentre Fenichel, dal punto di vista politico, considera la sessualità uno fra gli altri elementi necessari per una corretta analisi della società, Reich attribuisce alla repressione sessuale un significato fondamentale; essa costituisce il meccanismo basilare tramite cui l’individuo viene asservito al sistema dei valori dominanti (5). In seguito Reich avrebbe polemizzato con la “deviazione fenicheliana”, ma in realtà non si tratta di una deviazione, bensì di una diversa concezione teorica che si manifesta in tutti i temi fondamentali del rapporto marxismo-psicoanalisi. È inevitabile quindi che si evidenzino posizioni diverse anche nei confronti dell’argomento immediatamente collegato al fenomeno della repressione sessuale, cioè la funzione sociale del complesso di Edipo, argomento basilare soprattutto per le connesse implicazioni politiche. È nota l’ipotesi di Freud per cui la repressione sessuale edipica è alla base dello sviluppo culturale dell’individuo e della società (Freud, 1912-1913). Reich non esita ad’opporvisi; egli ritiene che la doppia interiorizzazione del divieto sessuale e del predominio paterno, che è propria del complesso di Edipo, determini invece un indebolimento della intelligenza ed una dipendenza dall’autorità funzionali unicamente al mantenimento dell’ordine sociale costituito.
Sostiene dunque la natura contingente e storica dell’Edipo, portando a prova della propria tesi le scoperte effettuate da Malinowski, che aveva individuato in una società primitiva materlineare un complesso socio-familiare in cui l’oggetto dell’ambivalenza emotiva risultava essere lo zio materno invece del padre (Reich, 1929; tr. it. 1972, p. 45; Malinowski, 1927). L’atteggiamento di Fenichel su questo argomento è problematico. Scrive testualmente: «Il ruolo e la funzione della repressione sociale sessuale nel predisporre l’umanità ad essere influenzata dall’ideologia è fuori dubbio. La sola valida domanda è se un qualche grado di repressione sessuale nell’educazione sia o no un prerequisito per l’instaurazione di una società poiché, senza il rispetto di regole particolari, una razza sessualmente non inibita non potrebbe in generale essere in grado di produrre cultura. Discutere questo punto in dettaglio ci porterebbe troppo fuori campo; qui è forse sufficiente dire che il fatto che vi sono delle culture senza alcuna repressione della sessualità infantile testimonia contro la universale validità di questa obiezione» (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 305). Nonostante quest’ultimo accenno relativo evidentemente ai lavori di Malinowski, l’assenza di una posizione precisa sulla natura e sulla funzione del complesso di Edipo pregiudica la chiarezza dell’analisi condotta da Fenichel. In primo luogo la critica della famiglia rimane una esigenza di tipo astratto che non affronta il concreto problema politico dell’istituzione familiare. Inoltre, questo atteggiamento incerto si ripercuote sul proponimento iniziale di mostrare il carattere dialettico della psicoanalisi; poiché una concezione del complesso di Edipo che rifiuti l’interpretazione storico-sociale assume un carattere adialettico pregiudizievole per l’intero corpo della teoria psicoanalitica emergendo in essa come un «punto fisso in mezzo a fenomeni mobili» (Reich, 1929; tr. it. 1972, p. 44). In realtà in Fenichel non si giunge nemmeno ad una effettiva comprensione del problema come tale e la natura dialettica della psicoanalisi è un argomento che viene sviluppato in relazione alle caratteristiche dinamiche della nozione di conflitto (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 295). Va osservato che anche Reich, in cui tuttavia è presente la dimensione del tema, non ottiene i risultati che si propone; il suo tentativo di dimostrare la dialetticità della psicoanalisi si risolve in una elaborazione di argomenti considerati separatamente dal contesto generale (Reich, 1929; tr. it. 1972, p. 29), che lo espone ad inevitabili critiche (Sapir, 1930). Tra i due autori esistono, come si è visto, differenze teoriche notevoli che si manifestano puntualmente nei momenti fondamentali del dibattito; tuttavia il tema sviluppato da Fenichel nell’ultima parte del suo lavoro sembra attenuare queste diversità. Si tratta della critica rivolta contro i tentativi di interpretare i fenomeni storico-sociali con metodi univocamente psicoanalitici; essa è condivisa ovviamente da Reich, che affronta l’argomento in un articolo pubblicato sul medesimo numero della rivista che ospita il lavoro di Fenichel (Reich, 1934).
In realtà dietro questo comune atteggiamento polemico esistono differenti presupposti teorici. Per Reich la tendenza psicologista nelle scienze storiche rivela una basilare carenza metodologica; infatti il materialismo dialettico che egli considera il criterio risolutore di qualunque problema metodologico, si attua diversamente nelle diverse branche della realtà; quindi bisogna evitare “l’impiego del metodo psicoanalitico nei fatti sociali (…) perché il metodo di indagine non sta tra le nuvole, bensì è determinato nella sua particolare natura dall’oggetto al quale viene applicato” (Reich, 1934; tr. it. 1972, p. 229). Tuttavia l’indagine storica assume nuove dimensioni «grazie all’introduzione delle conoscenze raggiunte dalla psicoanalisi (non dal suo metodo) in certi campi, come quello della formazione delle ideologie, dell’azione di ritorno dall’ideologia, ecc. (Reich, 1934; tr. it. 1972, p. 224).
La critica sviluppata da Fenichel si riallaccia invece ad una posizione tendente al riduzionismo economico sul piano storico; atteggiamento del resto complementare al sostanziale biologismo che manifesta nel campo della psicologia individuale. Scrive infatti: “Da dove vengono le uniformità delle qualità psicologiche? Esse derivano dagli stimoli esterni che influenzano gli uomini in determinati modi. Quali stimoli lavorano similmente su un intero gruppo? In ultima analisi le condizioni economiche» (Fenichel, 1934; ed. 1967, p. 307). Tuttavia, malgrado le diverse premesse teoriche, entrambi condividono una profonda avversione per le interpretazioni psicologiche della storia individuando in Géza Robeim il rappresentante più significativo di tali interpretazioni, anche se solo Fenichel si addentra in una polemica particolareggiata (Fenichel, 1934, pp. 309-311; Reich .1934; tr. it. 1972, p. 232). Polemica comprensibile relativamente all’interesse suscitato in quel periodo dalle ipotesi teoriche che Roheim, di ritorno da un viaggio di studi svoltosi tra il 1928 e il 1931 (6) andava proponendo all’attenzione dell’ambiente psicoanalitico e che avrebbe sistematizzato nel saggio del 1934 L’enigma della sfinge. Roheim sviluppa una sua antropologia psicoanalitica riallacciandosi alla teoria freudiana espressa in Totem e tabù, che vede nel parricidio primitivo la causa del passaggio della specie umana dallo stato naturale alla produzione di cultura. Su questa base, attraverso una approfondita indagine sul significato simbolico dei miti giunge a considerare i prodotti storico-culturali come fenomeni da interpretare nell’ottica della psicologia individuale.
Questa posizione, secondo Fenichel, rappresenta un rovesciamento dei termini del problema, che oltretutto ha il torto di appiattire le differenze etnologiche e culturali fra uomo civilizzato e popoli primitivi. Un simile giudizio lo pone al di fuori della prospettiva assunta da Freud sull’argomento e lo allontana dall’area concettuale dell’antropologia evoluzionista ottocentesca, cui quest’ultimo faceva riferimento, che supponeva l’unilinearità dell’evoluzione culturale. Tuttavia Fenichel evita attentamente di entrare in aperta polemica con Freud suscitando l’impressione che il suo sforzo teorico non sia esente da mediazioni. Nonostante ciò il suo impegno generale nel dibattito e in particolare il lavoro cui si è fatto fin qui riferimento, che si conclude appunto con la critica delle concezioni di Roheim, assumono notevole importanza sul piano della comprensione storica.
Se infatti per essa si rivela utile ogni tentativo volto a strappare dall’astratto il problema del rapporto tra psicoanalisi e marxismo, la particolare attenzione posta sulla figura di Otto Fenichel va intesa precisamente in tal senso; cioè come un contributo tendente ad evidenziare l’opera di un autore non privo certo di contraddizioni, ma a cui spetta sicuramente una collocazione nel panorama del dibattito in corso negli anni trenta.
NOTE
(1) Questo saggio è stato in seguito tradotto negli Stati Uniti nel 1967. Una erronea nota editoriale lo dichiarava inedito situandone il periodo di composizione negli anni della seconda guerra mondiale. E stato infine ristampato in tedesco nel 1970, Le citazioni riportate si riferiscono all’edizione statunitense.
(2) Dopo il trasferimento a Berlino di Reich nel novembre del 1930, Fenichel stabilì con quest’ultimo un rapporto di collaborazione fondato sul comune riferimento alle concezioni teoriche del materialismo dialettico. Esso si interruppe definitivamente con l’espulsione di Reich dalla Associazione Psicoanalitica Internazionale, avvenuta nell’agosto del 1934 durante il XIII Congresso, svoltosi a Lucerna. In tale occasione, a detta di Reich, Fenichel assunse un atteggiamento poco corretto, negandogli un aperto appoggio (Cfr. Reich, 1935, 1970).
(3) In particolare il libro curato da K. N. Kornilov, Psicologia e marxismo del 1925, cui contribuirono Vygotskii, BIonskij, ecc. e Lurija con il saggio La psicoanalisi di psicologia monistica.
(4) Fenichel considera l’istinto di morte un elemento contraddittorio nell’ambito della teoria delle pulsioni. Cfr. Fenichel, 1945, cap. V, par. 3; cap. XVI, par. 13.
(5) Esistevano perciò delle aree d’intervento da cui, secondo Rcich, il movimento comunista non doveva rimanere assente. L’organizzazione delle SEXPOL, di cui egli fu fondatore ed animatore, si proponeva precisamente di agganciare nella prassi la problematica sessuale all’iniziativa rivoluzionaria.
(6) Tale viaggio portò Roheim in Somalia, nell’Australia centrale, nelle isole Normanby (Melanesia) e tra le popolazioni indiane Yuma dell’Arizona.
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