Psiche ed elezioni
Le elezioni politiche, anticipate e no che, con buona frequenza, piombano sulla testa degli italiani, oltre a stabilire la quantità di voti di cui ogni partito dispone, rivelano utili indicazioni sugli aspetti emotivi che sempre orientano le scelte degli elettori.
Dal punto di vista psicologico l’elettore somiglia al tifoso di una squadra di calcio. Ciò, tuttavia, non permette di generalizzare troppo, perché esistono parecchie specie di tifosi. C’è chi segue la propria squadra in trasferta, per migliaia di chilometri e chi, a malapena, si interessa dei risultati finali; magari avendo scommesso su qualche partita. C’è anche chi odia il calcio, ma è costretto a sorbirsene parecchio, minuto per minuto, per mantenere la pace tra le mura domestiche, o perché è d’obbligo tra colleghi di lavoro.
Secondo lo psicoanalista inglese Money-Kyrle, alla base di una interpretazione psicoanalitica della politica vi è l’ipotesi che figure e istituzioni politiche del mondo esterno possano simbolizzare aspetti psicologici del mondo interiore dell’individuo. Semplificando: l’elettore subisce gli effetti di due grandi meccanismi psicologici. Da una parte la “proiezione”, ovvero quel processo per cui si attribuiscono a partiti e uomini politici idee e aspirazioni che sono nostre, anche se non realizzate; un po’ come avviene con i cantanti e gli attori. Ciò si verifica più facilmente quando il programma politico contiene novità e riforme di valore sociale che ben si prestano a contenere quelle istanze progressiste proiettate dall’elettorato.
D’altra parte esiste anche il fenomeno della “identificazione”, cioè la tendenza a pensare che certi candidati, per loro modo di essere e di apparire, sono un po’ come noi, quindi meritano il voto.
Attualmente, inoltre, si discute sui potenziali rapporti, sempre più stretti, tra mondo politico e mondo dello spettacolo. E’ certo che personaggi dello spettacolo possono, in particolari circostanze, acquistare un grosso peso politico, poiché i meccanismi psicologici del consenso, nell’ambito della radio, della televisione e dei giornali, sono fondamentalmente gli stessi. Del resto è ormai noto che vari partiti e uomini politici, anche italiani, ingaggiano, per le loro campagne elettorali, le stesse organizzazioni di pubblicitari e di psicologi abituati a considerare i mezzi di comunicazione di massa e dello spettacolo come strumenti capaci di imporre un prodotto commerciale.
Ovviamente, un ruolo determinante è anche giocato dalle personalità dei leader politici presenti in campo. Il protagonismo dei vari segretari e presidenti di partito nasce, appunto, dall’intenzione di far scattare il consenso, la simpatia e, in ultima analisi, l’identificazione degli elettori verso l’immagine che essi offrono. In questo caso, a un livello psicologico profondo, il rapporto dell’elettore con il suo capo carismatico somiglia a quello del bambino con il padre. Un leader energico e autoritario riuscirà così a proporsi come simbolico realizzatore delle tendenze aggressive e dominatrici dei suoi seguaci.
Lo psicoanalista austriaco Wilhelm Reich illustrò, negli anni trenta, i rischi di questo meccanismo psichico che, in particolari situazioni storiche, come avvenne per il nazismo, può consentire a un individuo come Hitler di assumere poteri dittatoriali. Ovviamente, Reich fu costretto a fuggire sia dall’Austria che dalla Germania; ma, in quegli stessi anni, sebbene in circostanze politiche profondamente diverse, la psicoanalisi fu eliminata, alla radice, anche nella Russia di Stalin. In effetti, questo processo di identificazione, che rappresenta un automatismo per la coscienza e svela un meccanismo del potere si attua a prescindere dal colore e dal valore delle idee politiche. E’ una emozione viscerale. Essa è inevitabile anche in democrazia e può essere tenuta a bada solo dalla parte razionale della mente umana.
D’altronde, c’è chi è sostanzialmente fedele a un partito, piuttosto che a un leader e si immagina, per questo, inserito in un grande organismo sociale. Qualcuno prova una vera e propria commozione all’idea di sentirsi all’interno di questo più vasto e potente organismo: il partito o il movimento.
Il processo psichico profondo che è alla radice di questi sentimenti fa, tendenzialmente, capo alla relazione che il bambino instaura con la madre, nel primissimo periodo di vita. Lo psicoanalista Balint ha definito “fusione” gli aspetti positivi di questa originaria relazione. Prescindendo dal tipo e dal colore dei programmi politici, la parola fusione sembra, tuttavia, ben descrivere questa totale immersione che, alcuni militanti o quadri, realizzano nel più grande organismo del loro partito.
Naturalmente, questi vari meccanismi psicologici non si attivano in modo isolato, ma si presentano, con sfumature più o meno accentuate, tutti insieme. Anche da questo complesso di processi psichici nascono le diversità politiche individuali.