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Qualunquemente – 2011
Eidos cinema e psyche, 20
Diomede, autore latino del quarto secolo dopo Cristo, affermava che Satura est carmen ad carpenda hominum vitia, ovvero che la satira serve a colpire i vizi degli uomini. Precedentemente Giovenale, intorno al primo secolo, aveva già canonizzato la satira connotandola come invettiva rivolta alla politica. E’ appunto in questa forma di strale contro il mondo politico, che a noi oggi, maggiormente, viene offerta su tutti i media possibili.
Il film Qualunquemente di Antonio Albanese costituisce un classico e potente esempio di satira politica contemporanea. E’ una satira diretta e tragica che, pur basata sulle gag, non impedisce la riflessione. Una poesia con funzione di invettiva.
Volgarità, machismo, gagliarda ignoranza, corruzione, erotomania e menefreghismo: questa è la ricetta programmatica con cui Cetto La Qualunque si candida alle elezioni comunali di Marina di Sotto, paesino nemmeno troppo immaginario della Calabria, gemellato con Weimar.
Egli è un piccolo imprenditore corrotto, depravato e ignorante che disprezza la natura, la democrazia e soprattutto le donne, di cui promette ai suoi sostenitori grande abbondanza.
Nella trama del film Qualunquemente, Cetto torna in Italia dopo una lunga fuga e latitanza all’estero, in compagnia di una bella ragazza e di una bambina. Di entrambe non rammenta il nome. Sono la sua nuova famiglia! In Italia, Cetto ritrova il suo fidato braccio destro Pino, la moglie Carmen e il figlio. Viene informato dai vecchi amici che le sue proprietà sono minacciate da una inarrestabile ondata di “legalità”, che sta invadendo la zona. Alle imminenti elezioni potrebbe prevalere un “pericoloso” paladino dei diritti. Così La Qualunque, dopo una lunga e faticosa riflessione in compagnia di compiacenti ragazze decide di “salire in politica” per difendere la sua cittadina.
In chiave di satira, il tema fondamentale del film è la comunicazione politica o, più esattamente, il rapporto tra comunicazione e potere; quindi anche le asimmetrie nei rapporti di potere, come conseguenza di relazioni asimmetriche sul piano della comunicazione. Cetto non promette strade e case popolari, ma sesso per tutti. E’ una satira radicale, che finisce per sfumare la barriera che separa l’uomo dall’animale. La Qualunque è talmente improponibile da risultare sublime. Quella idea di ragione che si fonda, appunto, sulla rimozione della dimensione fisica è, in lui, completamente assente.
Pur nella modestia dell’opera si percepisce quella satira che, fuor di metafora, nacque dalla tragedia e non dimentica la sua origine.
In questa maschera, appunto anche tragica, offerta da Albanese, riconosciamo il ghigno distorto di una realtà che va oltre la fantasia. Il mondo è addirittura più brutto di quanto si possa ammettere; ma esiste sempre una speranza in quella risata che, se non ci seppellirà, potrà ripristinare il senso del ridicolo. Bisogna crederlo.
Famiglia, religione, sanità, stupro del territorio, disponibilità al clientelismo, informazione mistificata, idolatria del potere: Antonio Albanese si muove a tutto campo e, con la sensibilità che distingue la sua arte eccellente, si scatena in un corpo a corpo con i residui di civismo e cultura, di buonsenso e repulsione, perchè tornino a ravvivarsi, perché resistano ostinatamente alle provocazioni contorte del suo politico sgangherato e impunito.
Il film non richiede particolari chiavi interpretative, poiché non si allontana mai dal polo dell’incredulità, evocata dall’assurdo. Ma la pretesa è diversa; vi è l’idea di una satira come strumento terapeutico per curare l’individuo dai suoi mali morali e capace di fornire al pubblico un normale sfogo per la sua indignazione rispetto ai mali sociali
Proprio per la sua funzione sociale, volta ad emendare vizi e ad inculcare comportamenti razionali, medi e virtuosi, la satira suggerisce una sua vocazione normativa ed una affinità con la comunicazione didattica. Si avverte, in forma remota, il dilemma che pone la satira in bilico tra lo smascheramento del vizio e quelle istanze di smorzamento e pacificazione che resero il genere inviso ad Adorno. Il riso della satira non è mai come quello carnevalesco, che nasce dalla trasgressione totale dell’impianto culturale corrente.
Anche prendendo le mosse da un film a contenuto satirico e di modeste pretese, è possibile affrontare il problema della democrazia, dei suoi limiti e delle sue prospettive. Non serve concentrarsi sui profili istituzionali o sulle garanzie che formalmente descrivono la fisionomia del sistema, ma bisogna riflettere sui fondamenti costitutivi delle strutture di potere e sulla loro distribuzione disuguale all’interno della società italiana, in cui la dimensione politica è sempre riuscita ad allagare l’area dello stato e delle istituzioni.
Tuttavia, La Qualunque non potrebbe mai essere un autocrate, un soggetto separato. Egli appare piuttosto connaturato all’esistenza stessa di un universo di rapporti umani e culturali storicamente dati. Un universo dominato da asimmetrie e squilibri ineliminabili. Egli destinerebbe ad inevitabile fallimento ogni tentativo, psicologico e non, di “redenzione” individuale. L’impresa sarebbe resa fatua anche dalla perfetta sintonia del personaggio con un ambiente che è capace di accoglierlo e apprezzarlo.
Risulta di valore pedagogico la vicenda del dibattito elettorale con l’avversario, sbaragliato in virtù di una palese e iniqua faziosità del giornalista conduttore. E’ un piccolo, ma chiarificante, esempio di quella dittatura mediatica che ci investe ogni giorno con le trombe tonanti di una propaganda sempre più sfacciata. Nel contemporaneo caos mediatico, si assiste infatti alla scomposizione del binomio comunicativo, che si trasforma, da ideale relazione, in una altalena di editti e pettegolezzi. Il video resta comunque dominato dalla invisibilità di chi vede e dalla visibilità di chi non può vedere. Il punto di arrivo, in una società fondata sulla ricerca e sulla valorizzazione dei media, non è una dilatazione orizzontale e paritetica delle reali possibilità di comunicazione ma, all’opposto, una violenta concentrazione, che scinde e contrappone il vedere e l’esser visto.
Il limite più ovvio del film consiste, però, proprio nel tentativo di trasformare delle gag, nate in tv e vissute nei teatri, in un lungometraggio. L’incursione sul grande schermo tende così a scivolare nello schema psicologicamente rigido della maschera offerta dall’attore, malgrado la regia cerchi di smarcarsi da questa trappola, cercando di costruire, intorno a lui, degli spazi cinematografici. Vediamo, perciò, Cetto immerso nel suo ambiente, circondato dalle sue improbabili famiglie e imboccato dal suo coach elettorale, Sergio Rubini, che rinnega le origini meridionali. Con tali sostegni assume una dimensione bruciante e assai più tragica del previsto, ma sempre comica e popolare. In definitiva, il candidato saprà, certamente, rastrellare un suo solido elettorato.
Pubblicato sulla rivista Eidos, n. 20/2011