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Aggressività
Michail Cechov (1891-1955), nipote di Anton, ne “La tecnica dell’Attore”, capitolo V, riflette, tra l’altro, sul modo in cui l’attore può esprimere l’aggressività. Viene chiesto fino a che punto il gesto aggressivo possa scatenare emozioni realmente aggressive nell’attore e viceversa. Questa domanda è solo un dettaglio nel quadro più vasto che vede il fenomeno dell’aggressività umana esaminato, contemporaneamente, da psicologi biologi e filosofi, per non parlare delle implicazioni sociopolitiche. In sostanza: Qual’é la differenza tra un eroe e un criminale? Esistono condizioni sociali che inducono a considerare virtuoso il comportamento aggressivo e a tributare lodi a chi lo esercita. In sostanza, si può uccidere per difendere la Patria o la legge; ma in condizioni diverse l’aggressività è valutata come il peggior retaggio animalesco dell’uomo nonché motivo di punizione. In entrambi i casi, si tratta di condizioni oggettive, che precedono le caratteristiche psicologiche dell’individuo. L’aggressività ha origini biologiche, come strumento di sopravvivenza individuale e di gruppo, Sono stati fatti molti tentativi per trasferire i modelli usati nell’evoluzione biologica all”interno,dei sistemi culturali umani. Le estreme conseguenze di questo atteggiamento portano alla sociobiologia; ovvero a considerare, essenzialmente, uniformi la biologia e la cultura. Senza arrivare ad abbracciare, definitivamente, la prospettiva sociobiologica, si può, però, constatare che, sul piano sociale, il comportamento aggressivo si è spostato verso competizioni, sostanzialmente, simboliche. Entro certi limiti, l’aggressività può essere considerata un aspetto normale del comportamento. Non esiste società, umana o animale senza violenza. Tra gli animali, queste manifestazioni aggressive sono, fondamentalmente, sociali, poiché solo la presenza di un individuo rivale o, semplicemente, di un intruso scatena l’attacco. Nella società umana, le possibilità individuali di manifestare l’aggressività sono estremamente ridotte. Leggii tribunali, educazione e consuetudini pongono la violenza del singolo oltre il confine del lecito. L’aggressività individuale si manifesta in contese collettive che vanno dalle rivalità nazionali, alle battaglie dei tifosi dentro gli stadi. In alcuni casi, tuttavia, anche la. violenza del singola riscuote il plauso collettivo. Ciò accade quando essa è diretta a difendere gli interessi generali. Le leggi dello stato di diritto sarebbero inutili pezzi di carta se non ci fosse una forza pubblica che le fa valere. Ma dove questa interviene, in nome della legge, commette, a volte, proprio il reato che la legge vieta. Il medesimo comportamento aggressivo, originariamente biologico, assume un differente significato simbolico, a seconda del contesto sociale in cui si esprime. Per questo, l’aggressività è, realmente, un territorio di confine tra biologia e cultura. Conseguentemente, prima ancora che per una ambiguità di carattere morale, lo studio del comportamento aggressivo non risulta plausibile con un rigido rispetto degli attuali confini tra biologia, filosofia, sociologia e psicoanalisi. A prescindere da queste impegnative esplorazioni trasversali, sarebbe opportuno sviluppare un pensiero coerente, capace di collegare lo sviluppo del comportamento aggressivo alla complessa e polivalente formazione della personalità e del pensiero. Vaste le implicazioni educative e le possibili riflessioni filosofiche sul significato dell’aggressività e della sua concreta attuazione; ovvero della violenza. Anche quando la violenza diviene tabù, nel tabù è insita la violenza della rinuncia all’istinto brutale. L’istinto che cerca il proprio soddisfacimento è violento, ma lo è altrettanto lo spirito che lo doma. Si chiedeva Kant: “Come posso coltivare la libertà nella costrizione?”. L’intera pedagogia moderna non è riuscita a procedere oltre questa domanda.