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Sergej Ejsenstejn e la regia
Sergej Michajlovich Ejzenstejn, il più noto regista del cinema russo post-rivoluzionario, fu nominato, nel 1932, titolare della cattedra di regia nell’Istituto statale di cinematografia di Mosca. Da un simile impegno didattico nacque il suo trattato teorico “La Regia”, pubblicato anche in Italia. Ejzenstejn svolge l’indagine sul cinema nell’ambito di una più generale riflessione sull’arte, o meglio sulle risorse del pensiero creativo. Non si limita, quindi, a valutazioni estetiche, ma intende effettuare una vera e propria analisi degli elementi chiamati a comporre la grammatica della regia. Il compito del regista è la rappresentazione cinematografica. Affinché ciò si realizzi è, però, necessario che l’autore del film e gli spettatori possiedano un comune linguaggio visivo. Emerge l’incredibile acume psicologico di Ejzenstejn, che non arretra di fronte alla difficoltà di studiare il “pensiero per scene”. Si tratta, d’altro canto, del modo di pensare tipico dei bambini e dei popoli primitivi studiato dal suo amico, il grande psicologo sovietico Lev Vygotskij.
Ejzenstejn è minuzioso: ogni situazione da sceneggiare è occasione di confronto con gli allievi, riguardo ai volumi, alla disposizione e al peso emotivo degli oggetti e dei personaggi contenuti nell’inquadratura. Il pubblico resta il grande giudice. Il regista deve offrire allo spettatore il risultato di una ricerca capace di alimentare la potenza espressiva del film. Questa operazione intellettuale, che è il principale messaggio didattico proposto dalla sua “scuola di regia”, nulla toglie alla qualità artistica dell’impresa filmica. Sopra ogni cosa, per gli studenti di allora e di oggi, è collocata l’arte della “messa in scena”. Il risultato è la valorizzazione di quel “dialogo interno”, per scene, visivo ed emotivo, che rappresenta, per il regista, l’obbiettivo da raggiungere e, contemporaneamente, il più efficace messaggio da offrire allo spettatore.