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Tra le nuvole – 2010
Eidos cinema e psyche, 17
Scrive Plotino nelle Enneadi: “Se non ti vedi ancora bello, opera come uno scultore con una statua che deve diventar bella…elimina ciò che è superfluo”.
L’idea che la ricerca della perfezione coincida non con qualcosa di cui si è privi, ma con la perdita di ciò che è nocivo e superfluo, è già in Platone, in un passaggio del Fedro ed è ciò che, fatte le rispettose e debite proporzioni, viene in mente osservando Ryan Bingham, il protagonista di Tra le nuvole, interpretato da George Clooney, mentre prepara la sua piccola e semivuota valigia. Essa simboleggia il contenuto dell’anima sua, che non vorrebbe necessitare di nulla per potersi muovere nel mondo, speditamente, senza pesi né legami. Leggera, leggerissima come aspirerebbe ad essere la mente del proprietario, questa valigia ha anche la pretesa di essere provvista di tutto ciò che possa servire. In realtà essa rimane incommensurabilmente vuota; di un vuoto angoscioso ed esigente.
Il film invece, dopo aver esordito nella descrizione perfetta di un uomo che crede di essere felice, rivela subito un doppio fondo. Sotto un primo strato di leggerezza, c’è tutto un mondo di problemi importanti ed onerosi. Si parla di fallimenti personali e disastri economici, solitudine e vecchiaia, verità e finzione, cuore e feticci. Bingham, il protagonista, è un tagliatore di teste; il suo lavoro consiste nell’andare da una parte all’altra dell’America a licenziare gente per conto di altri. In ciò è un impagabile professionista. Nel frattempo colleziona migliaia di miglia con l’American Airlines e la sua massima aspirazione è raggiungere “dieci milioni di miglia di volo” per ottenere fidelity cards, privilegi tra i club più esclusivi e passepartout per i migliori servizi alberghieri. Il tutto condito da “parentesi affettive” con occasionali compagne di viaggio. Nessuna complicazione, zero responsabilità, ostentato cinismo, in un mix terribile di brillante ironia e amara pochezza.
Egli è terrorizzato dall’amore e ne avverte l’inevitabile minaccia alla sua leggerezza, al suo essere tra le nuvole. L’amore implica, nell’era del virtuale, la necessità reale di mettere radici, di fermarsi, di avere qualcuno accanto, in un mondo che non può più essere delocalizzato. Inoltre è privilegio dell’amore destrutturare le nostre precedenti certezze. Bingham si ribella alla costitutiva duplicità dell’amore, al fatto che esso sia intrinsecamente connesso a ciò che sembra essere il suo opposto, vale a dire la morte, nelle forme mascherate, quotidiane e colloquiali, in cui la si incontra continuamente.
Nell’opera Al di là del principio del piacere (1920), accanto alle pulsioni sessuali, Sigmund Freud riconosce l’esistenza di una pulsione antagonistica, la pulsione di morte, cioè una tendenza distruttiva inerente alla vita stessa. Quando le pulsioni di morte sono rivolte verso l’interno, esse tendono all’autodistruzione, ma possono essere dirette anche verso l’esterno, assumendo così la forma di pulsioni di aggressione e distruzione.
Ci interessa considerare che, nella realtà psichica interna, le pulsioni si presentano sempre come ambivalenti, caratterizzate cioè dalla compresenza dei due principi di vita e di morte, per i quali Freud adopera i nomi greci di Eros e Thanatos.
Il protagonista di Tra le nuvole non può tollerare la realtà peculiare dell’amore, ovvero l’impossibilità di essere “soltanto uno”; altresì non sopporta che non vi sia unione, senza che esista al tempo stesso separazione, appropriazione senza perdita, appagamento senza insoddisfazione. Freudianamente: felicità senza dolore. Questa costitutiva ambivalenza dell’eros egli rifiuta, temendo la sofferenza che essa promette e cerca di rendere scarna la sua valigia e la sua mente, in una progressiva atarassia. Gli spostamenti dovuti al lavoro sono una fuga continua dal contatto con gli affetti: “Più lento ti muovi, più veloce cominci a morire”.
Sullo sfondo, il mondo di un capitalismo degenerato, di una società dove tutti, licenziatori e licenziati sono tragicamente soli. Fiabesche appaiono le scene degli aereoporti, vere piattaforme d’accesso ad un mondo mentale e siderale, dove la terra appare remota e vista dall’alto, come su Google Maps. Quando torna sulla terra, Bingham è un predone dal mocassino firmato che spaccia massime da quattro soldi, ma almeno ha l’etica necessaria, seppur distorta, di pugnalare in pieno petto e non alle spalle questi lavoratori immolati sull’altare del profitto e dei grafici di rendita. E’ anche, in modo apparentemente spontaneo, lontano dagli affetti. Egli si persuade che è opportuno e meglio vivere senza legami, che i rapporti sono una zavorra, che leggeri si vola più in alto. Paradossalmente, il film gli dà ragione. Quando arrivano a crearsi dei sentimenti il meccanismo s’inceppa; Bingham si rende dolorosamente conto che volare tra le nuvole è come stare fermi; mentre il vero viaggio, nella vita, è l’incontro con l’altro.
Clooney non sarà mai abbastanza grato al regista, Jason Reitman, per il ruolo valente che gli ha offerto di interpretare. Il suo personaggio, invece, dovrà pentirsi della propria condotta. Come sempre accade agli uomini, saranno le donne a trasformarlo. Due in particolare. Una appartenente alla sua stessa specie; altrettanto algida e spietata, di cui vanamente il protagonista s’invaghirà. L’altra, una giovane collaboratrice, meno lontana dai sentimenti, lo porterà a rispecchiarsi, anche suo malgrado, in qualche tratto di umanità e a indebolire la sua cattiva coscienza.
Niente paura, comunque nessun “lieto fine” è in agguato; il regista è bravo ad evitare le trappole del sentimentalismo, indovinando un realistico e congruo finale.