![](https://www.albertoangelini.it/wp-content/uploads/2014/10/38.jpg)
Tutti i battiti del mio cuore – 2006
Eidos cinema e psyche, 5
2005, regia James Toback
La storia di una trasformazione radicale. L’itinerario faticoso di una pulsione che trova il suo oggetto d’amore. Un amore vero e profondo, che determina mutamenti straordinari.
In una Parigi drammaticamente cupa, che mostra solo le imperfezioni delle sue periferie, il giovane protagonista vive lavorando nel campo immobiliare, anche aggirando cinicamente la legge. Senza pietà toglie un tetto ai senza casa per rivenderselo a chi ha denaro da offrire e minaccia e picchia per raggiungere i suoi scopi. In ciò segue le orme di un padre avventato e ingombrante, che cadrà vittima di un criminale affarista russo. Ma anche la madre, che ha perso da bambino, ha lasciato una sua eredità, fortunatamente preziosa: la passione per la musica e il talento per il pianoforte, che le volgarità del quotidiano hanno sospinto sotto il livello vigile della coscienza, ma non sono riuscite a distruggere.
Un incontro casuale con l’anziano maestro, amico della madre scomparsa, riapre una porta segreta e sigillata. Nel mare opaco del suo vivere, la bellezza si intravede lontana: e l’isola di salvezza è un pianoforte. Vuole suonare, vuole studiare; diviene consapevole dell’esistenza dei due mondi e non sa a quale appartiene. In una atmosfera un po’ notturna e profondamente onirica, degna del noir che il film intende essere, il protagonista evade ascoltando un iPod al volume massimo, ma poi suda laboriosamente, provando e riprovando Bach. Prima che il conflitto divenga scissione, trova una guida: una giovane insegnante cinese, pacata, ma severa. Lei parla solo la sua lingua, suoni indecifrabili; eppure il suo messaggio è chiaro: o cerchi la perfezione, o è tutto inutile. Per un po’ il protagonista non vuole rinunciare a niente e cerca di mantenersi in bilico tra i due mondi. Le stesse mani che impugnano il coltello e si sporcano di sangue dovrebbero saper accarezzare il pianoforte.
E’ un tema universale. Molti soffrono per aver un solo posto dove vivere; e vivono male sia nella realtà, sia nel sogno. L’equivoco consiste nel tentativo di depositare le regole del mondo concreto in ambito artistico. L’arte vive con una prepotenza differente dal reale e tutti, non solo gli artisti, abbiamo il problema di conciliare questi conflitti. Gli istinti profondi e disordinati che l’arte riesce ad esprimere armonicamente non possono essere espressi socialmente, nella loro forma originale. Per renderli manifesti dobbiamo accettare una disciplina e un impegno simili a quelli di chi studia uno strumento. Ciascuno cerca la sua strada nella ricerca di un equilibrio che possiede la garanzia di una stabilità proprio nel continuo rinnovamento.
Anche il protagonista riesce a rinnovarsi trovando un nuovo e migliore equilibrio. Diviene manager e compagno della insegnante cinese, rinunciando alla propria, personale, impossibile perfezione, ma avvicinandosi all’arte e cambiando la sua vita in tutto quel che può. Sembra, freudianamente, dedito a sublimare energie disordinate e minacciose, salvaguardando l’unitarietà dell’Io e restando fedele all’intenzione fondamentale dell’Eros, che è di unire e legare. Sembra, kleinianamente, tendere a riparare e ripristinare l’oggetto “buono”, frantumato dalle pulsioni distruttive. -Il film si conclude con l’eco di un canto malinconico alla perfezione perduta, ma con la sensazione di un mondo positivo e vero, psicoanaliticamente materno, che viene ritrovato.
Pubblicato sulla rivista Eidos, n. 5/2006